lunedì 30 giugno 2025

Radicate e fondate nella carità per seminare il bene

DISCORSO DEL SANTO PADRE LEONE XIV ALLE RAPPRESENTANTI DI ALCUNI ISTITUTI RELIGIOSI FEMMINILI

Leone XIV riceve le Figlie della Divina Carità, le Suore dell’Ordine di San Basilio Magno e della Congregacion Agustinas Hermanas del Amparo, e le Hermanas Franciscanas de los Sagrados Corazones, in occasione dei Capitoli generali. Nel discorso l’invito a prendere esempio da Sant’Agostino, San Basilio e San Francesco che hanno “fatto crescere nuove vie di servizio”, soprattutto nei confronti di bambini, poveri, orfani, migranti, anziani e malati

Il Papa durante l'udienza alle partecipanti ai Capitoli Generali delle Figlie della Divina Carità delle Suore dell'Ordine di San Basilio Magno e Suore della Congregazione Augustinas Hermanas del Amparo

Care sorelle, buongiorno e benvenute!

Sono lieto di incontrarvi, alcune di voi in occasione del Capitolo Generale, altre per il pellegrinaggio giubilare. In tutti e due i casi venite presso la tomba di Pietro per rinnovare il vostro amore al Signore e la vostra fedeltà alla Chiesa.

Appartenete a Congregazioni nate in momenti e circostanze diversi: Suore dell’Ordine di San Basilio Magno, Figlie della Divina Carità, Suore Agostiniane “del Amparo”, Suore Francescane dei Sacri Cuori. Eppure le vostre storie mostrano una dinamica comune, per cui la luce di grandi modelli di vita spirituale del passato – come Agostino, Basilio, Francesco – attraverso l’ascesi, il coraggio e la santità di vita di fondatori e fondatrici, ha suscitato e fatto crescere nuove vie di servizio, soprattutto nei confronti dei più deboli: bambini, ragazze e ragazzi poveri, orfani, migranti, a cui si sono aggiunti col tempo anziani e malati, oltre a tanti altri ministeri di carità.

Le alterne vicende del vostro passato e la vivacità del presente fanno toccare con mano come la fedeltà alla sapienza antica del Vangelo sia il miglior propellente per chi, spinto dallo Spirito Santo, intraprende nuove vie di donazione, votate all’amore di Dio e del prossimo in ascolto attento dei segni dei tempi (cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 4; 11).

Proprio pensando a questo, il Concilio Vaticano II, parlando degli Istituti religiosi dediti a servizi di carità, ha sottolineato quanto è importante che in essi «tutta la vita […] dei membri sia compenetrata di spirito apostolico, e tutta l’azione apostolica sia animata da spirito religioso» (Decr. Perfectae caritatis, 8), affinché i religiosi «corrispondano in primo luogo alla loro vocazione che li chiama a seguire Cristo e servano Cristo nelle sue membra […] in intima unione con lui» (ibid.).

Sant’Agostino, in proposito, parlando del primato di Dio nella vita cristiana, afferma: «Dio è il tuo tutto. Se hai fame, Dio è il tuo pane; se hai sete, Dio è la tua acqua; se sei nelle tenebre, Dio è la tua luce che non ha tramonto; se sei nudo, Dio è la tua veste immortale» (In Joannis Evangelium, 13, 5). Sono parole da cui ci fa bene lasciarci interrogare: in che misura questo è vero per me? Quanto il Signore sazia la mia sete di vita, d’amore, di luce? Sono domande importanti. Infatti è questo radicamento in Cristo che ha portato chi ci ha preceduto – uomini e donne come noi, con doti e limiti come i nostri – a fare cose che forse mai avrebbero pensato di poter realizzare, permettendo loro di lanciare semi di bene che, traversando secoli e continenti, oggi hanno raggiunto praticamente tutto il mondo, come dimostra la vostra presenza.

Alcune di voi, come accennato, sono impegnate nel Capitolo Generale, altre sono qui per il Giubileo. Comunque si tratta di fare scelte importanti da cui dipende il futuro proprio, delle sorelle e della Chiesa. Per questo mi pare molto opportuno concludere ripetendo per tutti noi l’augurio bellissimo che San Paolo rivolgeva ai cristiani di Efeso: «Che il Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori, e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e di conoscere l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio» (Ef 3,17-19). Grazie per il vostro lavoro e per la vostra fedeltà. Vi accompagni la Vergine Maria, insieme con la mia benedizione.

lunedì 23 giugno 2025

Sacerdoti felici

 

"Sacerdoti felici", il Papa incontra i responsabili della pastorale vocazionale

In occasione del Giubileo dei Seminaristi e dei Sacerdoti, il prossimo 26 giugno, dalle 15 alle 18, presso l'Auditorium Conciliazione, l'appuntamento di incontro, riflessione e condivisione organizzato dal Dicastero per il Clero dal tema tratto dal Vangelo di Giovanni "Vi ho chiamati amici". L'evento, alla presenza di Leone XIV, è rivolto a tutti coloro che sono impegnati nella pastorale vocazionale e nella formazione nei seminari

Vatican News

In occasione del Giubileo dei Seminaristi e dei Sacerdoti, il Dicastero per il Clero promuove un importante momento di incontro, riflessione e condivisione dal titolo "Sacerdoti felici - Vi ho chiamato amici” (Gv 15,15), appuntamento internazionale con la presenza di Papa Leone XIV, rivolto a tutti coloro che sono impegnati nella pastorale vocazionale e nella formazione nei seminari. L’evento si terrà giovedì 26 giugno 2025, dalle ore 15 alle 18, presso l’Auditorium Conciliazione, in Via della Conciliazione 4. Il titolo scelto per l’incontro, tratto dal Vangelo di Giovanni – “Vi ho chiamato amici” (Gv 15,15) – intende richiamare il cuore della vocazione sacerdotale come amicizia con Cristo Buon Pastore e servizio gioioso al Popolo di Dio, nella scoperta e realizzazione della chiamata del Maestro, che è prima di tutto una chiamata alla felicità.

Preghiera, condivisione, testimonianze

L’incontro sarà aperto da un momento di preghiera e dal saluto del cardinale Lazzaro You Heung sik, prefetto del Dicastero per il Clero, che introdurrà i lavori sottolineando il valore di questo spazio nell’Anno giubilare della speranza. Seguirà una prima sessione dedicata a cinque esperienze significative di pastorale vocazionale, che offriranno uno sguardo globale sulle buone pratiche in atto nei diversi continenti. Don José Alberto Estrada García, già segretario per la Pastorale Vocazionale della Conferenza Episcopale del Messico, presenterà l’esperienza del Centro diocesano vocazionale di Monterrey come esempio concreto di accompagnamento vocazionale a livello locale.

Per l’Italia, interverrà don Michele Gianola, direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale delle vocazioni, con una presentazione di varie dimensioni della pastorale vocazionale in atto nel Paese. Dall’Argentina, la dottoressa Maria Lía Zervino illustrerà un’esperienza di pastorale giovanile missionaria che genera chiamate al sacerdozio, alla vita consacrata e al matrimonio cristiano. Per l’Irlanda, la dottoressa Maura Murphy, direttore generale e co-fondatrice di Holy Family Mission, porterà la sua testimonianza su una sorprendente rinascita vocazionale partita dagli stessi giovani: da un minimo storico di 12 seminaristi, oggi si registra una crescita significativa con oltre 35 giovani in cammino. Per la Spagna, dove è stato avviato un nuovo progetto di pastorale vocazionale, ci sarà don Florentino Pérez Vaquer, direttore del Segretariato Sottocommissione Episcopale per i Seminari della Conferenza Episcopale Spagnola.

L'intervento del Papa

Cuore dell’incontro “Sacerdoti Felici” sarà l’intervento di Papa Leone XIV, un tempo di ascolto e riflessione sul senso della vocazione sacerdotale oggi, sulla sua bellezza e sulla chiamata alla santità e alla comunione nella quotidianità del ministero. A seguire, un probabile spazio di dialogo, con domande, testimonianze e scambio di esperienze.

Seguirà la seconda parte dell’incontro, dedicata a cinque esempi di buone pratiche nella formazione iniziale dei seminaristi. Dall’Africa arriveranno testimonianze su come, in un contesto di abbondanza vocazionale, si sta puntando su un serio discernimento e una formazione solida, anche attraverso l’articolazione dei grandi seminari in piccole comunità di vita e l’inserimento del lavoro manuale come strumento educativo, specie in contesti di povertà. Le Filippine offriranno l’esempio del Seminario Immacolata Concezione di Malolos, che promuove una formazione integrale, partecipativa e missionaria, fortemente legata alle piccole comunità ecclesiali di base. La Colombia presenterà l’esperienza del Seminario conciliare San Carlo della diocesi di Socorro e San Gil che si articola in cinque piccole comunità che vivono in altrettante casette disposte attorno a un edificio centrale con la cappella, quale segno della presenza viva di Gesù tra loro. Dal Brasile, si parlerà dei Consigli missionari dei seminaristi, una rete nazionale che comprende oltre 110 realtà locali, promotrici di esperienze missionarie, incontri formativi e un convegno nazionale triennale. Infine, dagli Stati Uniti, verrà presentata l’esperienza della diocesi di Wichita (Kansas), riconosciuta come modello esemplare per un approccio alla formazione che attira molte vocazioni.

Veglia a San Pietro

L’evento si propone non solo come un momento formativo e informativo, ma anche come occasione fraterna di incontro tra sacerdoti, formatori, religiosi, religiose e laici impegnati nella formazione iniziale e nella pastorale vocazionale. La conclusione dei lavori è prevista per le ore 18, per partecipare alla Veglia vocazionale prevista nella Basilica di San Pietro.

La partecipazione è gratuita, ma è necessario iscriversi attraverso il sito ufficiale del Dicastero per il Clero www.clerus.va, fino ad esaurimento posti

Suor Mary Lembo

 

Suor Mary Lembo: “Necessario parlare di abusi, anche se non è facile”

La religiosa e psicologa africana tra le relatrici della Conferenza internazionale "Women of Faith, Women of Strength” che si è svolta nei giorni scorsi alla Gregoriana, sul tema donne e tutela. La suora ha raccontato il suo lavoro per dar voce alle consacrate in Africa vittime di violenze da parte dei sacerdoti: "Prima un totale tabù, ora è più facile parlarne e la questione viene affrontata anche nei dibattiti ecclesiali. Sostenere tutte le misure adottate per il safeguarding"
Anne Preckel – Città del Vaticano

“Women of Faith, Women of Strength”. “Donne di fede, donne di forza” è il titolo della Conferenza internazionale che si è svolta nei giorni scorsi, dal 17 al 19 giugno, presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma, incentrata sui temi delle donne e della tutela. Tra le relatrici principali, suor Mary Lembo, religiosa del Togo, pioniera nella sensibilizzazione sul problema degli abusi, la quale ha affrontato la questione delle violenze subite dalle suore da parte dei sacerdoti in Africa. Psicologa e docente a Roma presso l’Istituto di Salvaguardia IADC della Gregoriana, Lembo ha scritto una tesi di dottorato sull’argomento che include anche testimonianze di vittime in cinque Paesi africani. La suora spiega che è difficile stabilire quanto sia diffuso il problema nel continente, “perché non esistono studi quantitativi”; tuttavia, questo tipo abuso – afferma - è una “realtà” che deve essere affrontata: “È un problema che richiede sostegno e incoraggiamento affinché le donne si facciano avanti, ne parlino e denuncino i casi. Anche se non è facile”.

Un incoraggiamento da Papa Francesco

Quando stava completando la sua ricerca nel 2019, il tema degli abusi sulle consacrate in Africa era una realtà nascosta. In questo contesto aveva trovato rassicurante il fatto che Papa Francesco per la prima volta ne aveva parlato pubblicamente. “Ero quasi allo stremo, non era facile parlarne. Così le sue parole sono state un incoraggiamento per me a continuare. Questi abusi sono una realtà che dobbiamo affrontare nella Chiesa, affinché la Chiesa viva nella verità”.

Sempre nel 2019 si è svolto in Vaticano il primo vertice internazionale sulla tutela dei minori. Poco dopo, Papa Francesco ha emesso nuove norme per combattere gli abusi sessuali sui minori e sulle persone vulnerabili. Nel documento “Vos estis lux mundi”, il termine “persona vulnerabile” ha incluso anche gli adulti la cui volontà o “capacità di resistere all'offesa” è limitata.

Realtà nascosta

Suor Lembo ha impiegato anni per trovare un numero sufficiente di vittime per la sua ricerca, disposte a condividere le proprie esperienze. Non perché le vittime siano poche, ma perché la paura e la vergogna impediscono a molte donne di confidarsi con qualcuno. Nella chiesa e nelle società africane non si parla quasi mai di sessualità, spiega la religiosa: per quanto riguarda “le religiose consacrate a Dio e considerate sante”, l'argomento è un grave e doppio tabù.

Su richiesta delle stesse vittime, suor Lembo non ha citato i nomi o i Paesi di origine delle suore che hanno subito abusi: “Avevano paura di ciò che sarebbe accaduto a loro, alle loro famiglie, alla loro congregazione e persino alle loro comunità. Parlando con me, hanno rischiato tutto per aiutare altre donne. Quindi niente nomi, devo rispettarle”.

Capire il contesto

Suor Lembo durante le interviste ha sentito parlare di “vari tipi di abuso in relazione all’accompagnamento spirituale”. Inizia tutto, molte volte, con l’abuso di potere, “perché c’è una relazione asimmetrica tra la persona che fornisce la consulenza e la persona che chiede la guida spirituale o la confessione”. Alcuni sacerdoti avevano sfruttato anche la dipendenza economica delle suore “per esercitare pressioni, stabilire o forzare contatti sessuali”. Le vittime hanno raccontato alla psicologa anche di abusi fisici e spirituali.

Suor Mary sottolinea inoltre un altro aspetto importante e, cioè, il fatto che nessuna delle religiose abusate aveva intenzione di violare i propri voti. Gli autori di abusi spesso esercitano una pressione psicologica sulle loro vittime, manipolano o scavalcano la loro volontà; in tali circostanze non solo bambini ma anche adulti, soprattutto in condizioni fragili, possono diventare vittime. Ciò è favorito anche dallo sfruttamento del lavoro e dalla dipendenza dai sacerdoti. Con il suo lavoro di sensibilizzazione suor Lembo vuole contribuire pertanto a migliorare la formazione di seminaristi e delle religiose. Perché se si conoscono le circostanze degli abusi, è possibile cambiarle.

Segnali positivi in Africa

Suor Lembo evidenzia con soddisfazione il fatto che oggi parlare di questo argomento in Africa è più facile rispetto a qualche anno fa. Anche altre suore africane hanno iniziato a portare il tema nel dibattito ecclesiale, che comincia ad ampliarsi. Recentemente alla Conferenza dei Superiori Maggiori dell’Africa e del Madagascar (COMSAM) in Zambia è stato chiesto che la Chiesa africana intervenga sul problema con trasparenza e giustizia. La COMSAM è una confederazione istituita dal SECAM (l’Associazione delle Conferenze Episcopali dell'Africa e del Madagascar) e lavora in stretta collaborazione con il Dicastero vaticano per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica.

Inoltre, quest'anno, per la prima volta, le rappresentanti degli ordini religiosi femminili africani sono state invitate a rappresentare i loro interessi direttamente all’Assemblea generale del SECAM. E negli ultimi anni molte Conferenze Episcopali africane hanno emanato o reso più severe le linee guida per la protezione dei minori e stanno sensibilizzando i sacerdoti e gli operatori pastorali sul tema degli abusi. Questo costituisce una buona base per agire anche contro gli abusi delle religiose. “Dobbiamo andare avanti e sostenere tutte le misure adottate dalla Chiesa nell’area del safeguarding”, chiosa suor Mary Lembo, “è un processo”.


Il velo del silenzio

Donne consacrate divenute vittime: in un libro le loro storie

Esce oggi in libreria il volume di Salvatore Cernuzio intitolato “Il velo del silenzio. Abusi, violenze, frustrazioni nella vita religiosa femminile”, edito da San Paolo. Publichiamo la prefazione al libro scritta dal suor Nathalie Becquart, sottosegretario della Segreteria generale del Sinodo dei Vescovi

Nathalie Becquart, Xmcj *

Questo libro di testimonianze ci fa sentire le grida e le sofferenze troppo spesso taciute, quelle di donne consacrate che sono entrate in comunità religiose per seguire Cristo e si sono trovate in preda a situazioni dolorose che, per la maggior parte di loro, le hanno portate a lasciare la vita consacrata. L’autore ascolta le loro storie con empatia per dare voce a queste donne ferite che cercano di ricostruirsi e di far sentire la loro esperienza, le loro lotte, la loro speranza. In questo modo, contribuisce ad aumentare la nostra consapevolezza dei problemi degli abusi nella vita religiosa, dando priorità all’ascolto delle vittime che non si sono sentite accolte, rispettate, riconosciute e ben accompagnate nella loro comunità. Voglio rendere omaggio a queste donne che hanno coraggiosamente accettato di parlare e dare la loro autentica testimonianza. Dobbiamo quindi ascoltarle, sentirle e prendere coscienza che la vita consacrata nella sua diversità, come altre realtà ecclesiali, può generare sia il meglio che il peggio. Il meglio quando i voti religiosi di povertà, castità e obbedienza sono proposti come un cammino di crescita umana e spirituale, un cammino di maturazione che fa crescere la libertà delle persone perché «l’autorità è chiamata a promuovere la dignità della persona». Il peggio quando i voti religiosi sono interpretati e attuati in un modo da infantilizzare, opprimere o addirittura manipolare e distruggere le persone.

Questo libro ci invita dunque a guardare in faccia la realtà e a dire la verità, a cercare le vie possibili per accompagnare le persone che soffrono nella vita religiosa o che ne sono uscite e devono ricostruirsi. Ma soprattutto cercare il modo di prevenire queste possibili derive aiutando le comunità religiose ad adottare uno stile sempre più sinodale. Infatti, come ci ricorda il Documento Preparatorio del prossimo Sinodo sulla Sinodalità nella sua prima parte, che definisce il contesto di questo processo sinodale: «Non possiamo però nasconderci che la Chiesa stessa deve affrontare la mancanza di fede e la corruzione anche al suo interno. In particolare, non possiamo dimenticare la sofferenza vissuta da minori e adulti vulnerabili a causa di abusi sessuali, abusi di potere e abusi di coscienza commessi da un numero notevole di chierici e persone consacrate. Siamo continuamente interpellati come popolo di Dio a farci carico del dolore dei nostri fratelli e sorelle feriti nella carne e nello spirito: per troppo tempo quello delle vittime è stato un grido che la Chiesa non ha saputo ascoltare a sufficienza. Si tratta di ferite profonde, che difficilmente si rimarginano, per le quali non si chiederà mai abbastanza perdono e che costituiscono ostacoli, talvolta imponenti, a procedere nella direzione del “camminare insieme”. La Chiesa tutta è chiamata a fare i conti con il peso di una cultura impregnata di clericalismo, che eredita dalla sua storia, e di forme di esercizio dell’autorità su cui si innestano i diversi tipi di abuso (di potere, economico, di coscienza, sessuale). È impensabile una conversione dell’agire ecclesiale senza la partecipazione attiva di tutte le componenti del popolo di Dio: insieme chiediamo al Signore la grazia della conversione e l’unzione interiore per poter esprimere, davanti a questi crimini di abuso, il nostro pentimento e la nostra decisione di lottare con coraggio».

Siamo tutti chiamati, quindi, a prendere coscienza di queste pratiche erronee di obbedienza e di esercizio dell’autorità nella Chiesa, che purtroppo sono sorte sia nelle parrocchie che nelle vecchie e nuove comunità di vita consacrata o associazioni laicali. Dobbiamo ascoltare la forte chiamata di Papa Francesco alla conversione pastorale, che ci richiede di abbandonare il modello clericale della Chiesa e di entrare in una visione di Chiesa sinodale che implica l’ascolto e la partecipazione di tutti, e l’assunzione di responsabilità congiunta. Perché tutti, battezzati, discepoli missionari, hanno pari dignità e devono essere considerati come soggetti e attori della missione. Tutti, abitati dallo Spirito, sono chiamati a far sentire la loro voce. Per continuare ad annunciare la Buona Novella del Vangelo nel mondo di oggi, la Chiesa deve riscoprire e mettere in pratica la sinodalità che fa parte della sua stessa natura. Cioè, discernere i modi di vivere questa dinamica di comunione, questo “noi” ecclesiale che rispetta e integra la diversità dell’“io” singolare, questa accoglienza e valorizzazione della diversità dei carismi perché lo Spirito Santo parla in ognuno e l’obbedienza nella Chiesa deve essere sempre un ascolto comune dello Spirito.

In un certo senso, attraverso questo libro Salvatore Cernuzio ci dà una percezione molto concreta di ciò che la Congregazione per la Vita Consacrata ha chiaramente evidenziato nel suo importante documento di orientamento “Per vino nuovo otri nuovi” (2017), quella sfida di un necessario rinnovamento e di una giusta formazione nell'esercizio dell'obbedienza e dell’autorità. Sottolinea il documento: «In alcuni casi, la collaborazione non è promossa dall’“obbedienza attiva e responsabile” (29), ma dalla sottomissione infantile e dalla dipendenza scrupolosa. In questo modo la dignità della persona può essere danneggiata fino all’umiliazione. In queste nuove esperienze o in altri contesti, la distinzione tra il foro esterno e quello interno non è sempre correttamente considerata e debitamente rispettata» (30).

Così, in questo cambiamento d’epoca in cui viviamo, dobbiamo riconoscere che: «Obbedienza e servizio dell’autorità rimangono questioni altamente sensibili, anche perché le culture e i modelli hanno subito trasformazioni profonde, inedite e, per certi aspetti, forse anche sconcertanti almeno per alcuni. Nel contesto in cui viviamo, la terminologia stessa di “superiori” e “sudditi” non è più adeguata. Ciò che funzionava in un contesto relazionale piramidale e autoritario non è più desiderabile né vivibile nella sensibilità di comunione del nostro modo di intendere e volersi Chiesa. È da tener presente che l’obbedienza vera non può fare a meno di mettere al primo posto l’obbedienza a Dio, sia dell’autorità sia di chi obbedisce, come non può fare a meno di riferirsi all’obbedienza di Gesù; obbedienza che include il suo grido d’amore Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? (Mt 27,36) e il silenzio d’amore del Padre».

Che questo libro, che ci invita a guardare il lato oscuro di alcune realtà della vita consacrata, ci aiuti a sentire e attuare l’invito urgente di Papa Francesco «a tutte le comunità del mondo [per] chiedere specialmente una testimonianza di comunione fraterna che diventi attraente e luminosa. Che tutti possano ammirare come vi prendete cura gli uni degli altri, come vi incoraggiate mutuamente e come vi accompagnate» (26). 

* Sottosegretario della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi

IL LIBRO

Salvatore Cernuzio, Il velo del silenzio. Abusi, violenze, frustrazioni nella vita religiosa femminile, Edizioni San Paolo 2021, pp.208 , euro 20,00; prefazione di suor Nathalie Becquart, introduzione di padre Giovanni Cucci SJ, con un intervista al professor Tonino Cantelmi e un contributo del professor Giorgio Giovanelli

venerdì 13 giugno 2025

Il Papa incontra il clero della diocesi di Roma

 

Il Papa ai preti di Roma: “Siate credibili e vivete le sfide come occasione di testimonianza”

Ricevendo in udienza il clero della diocesi di Roma, Leone XIV invita a camminare insieme, a ritrovare la fiamma della vocazione in un tempo segnato dalle violenze e, nel territorio di Roma, dalla povertà e dall'emergenza abitativa. “Il presbitero è chiamato ad essere l’uomo della comunione”, testimone “dentro una vita umile” capace di esprimere “la forza rinnovatrice del Vangelo”

Benedetta Capelli – Città del Vaticano


Il Vescovo di Roma incontra la sua diocesi, i suoi sacerdoti e seminaristi che sono “tesoro prezioso” per i quali chiede "un forte applauso". Lo fa dopo la presa di possesso della Chiesa di Roma, il 25 maggio nella Basilica di San Giovanni in Laterano, quando citando il beato Giovanni Paolo I, aveva assicurato la sua disponibilità, il suo amore mettendo a disposizione le sue forze. In Vaticano, Papa Leone XIV ribadisce al clero dell'Urbe il desiderio di “conoscervi da vicino per iniziare a camminare insieme a voi”. Un cammino di vescovo e popolo, che fa tornare alla mente quello che dalla Loggia delle Benedizioni aveva auspicato Papa Francesco nel 2013. Parla “con il cuore di padre e di pastore” perché il Signore conosce i limiti dell’uomo ma affida solo ad alcuni una grazia speciale.

Impegniamoci tutti ad essere sacerdoti credibili ed esemplari! Siamo consapevoli dei limiti della nostra natura e il Signore ci conosce in profondità; ma abbiamo ricevuto una grazia straordinaria, ci è stato affidato un tesoro prezioso di cui siamo ministri, servitori. E al servo è chiesta la fedeltà.

Preziosi agli occhi di Dio

Papa Leone ringrazia i sacerdoti per la “vita donata a servizio del Regno, per tanta generosità nell’esercizio del ministero, per tutto ciò – afferma - che vivete nel silenzio e che, a volte, è accompagnato da sofferenza o da incomprensione”.

Svolgete servizi diversi ma siete tutti preziosi agli occhi di Dio e nella realizzazione del suo progetto.

Un clima culturale che favorisce l’isolamento

“Camminare insieme”: è la raccomandazione che il Pontefice fa alla diocesi di Roma, “una diocesi davvero particolare, perché - sottolinea - tanti sacerdoti arrivano da diverse parti del mondo” spesso per studiare. Questa scelta si riflette nella vita pastorale delle parrocchie chiamate ad uno slancio di universalità e di reciproca accoglienza. Da qui il pensiero del Papa si sposta su due concetti che ha “a cuore”: l’unità e la comunione. La comunione, evidenzia, è favorita a Roma dal vivere insieme “nelle canoniche come nei collegi o in altre residenze”.

Il presbitero è chiamato ad essere l’uomo della comunione, perché lui per primo la vive e continuamente la alimenta. Sappiamo che questa comunione oggi è ostacolata da un clima culturale che favorisce l’isolamento o l’autoreferenzialità. Nessuno di noi è esente da queste insidie che minacciano la solidità della nostra vita spirituale e la forza del nostro ministero.

Uno slancio di fraternità tra sacerdoti

Le insidie si combattono vigilando all’esterno ma anche all’interno facendo attenzione alle relazioni interpersonali ma anche a ciò che abita il proprio cuore, “specialmente quel sentimento di stanchezza che sopraggiunge perché abbiamo vissuto delle fatiche particolari, perché non ci siamo sentiti compresi e ascoltati, o per altri motivi”.

Io vorrei aiutarvi, camminare con voi, perché ciascuno riacquisti serenità nel proprio ministero; ma proprio per questo vi chiedo uno slancio nella fraternità presbiterale, che affonda le sue radici in una solida vita spirituale, nell’incontro con il Signore e nell’ascolto della sua Parola.

Carismi diversi e fedeltà al Vangelo

“La comunione – sottolinea il Papa - va tradotta anche nell’impegno in questa diocesi; con carismi diversi, con percorsi di formazione differenti e anche con servizi differenti, ma unico dev’essere lo sforzo per sostenerla”. Uno sforzo nel cammino pastorale che si traduce in un procedere insieme, fedeli al Vangelo, arricchendo la Chiesa del proprio carisma “ma avendo a cuore l’essere l’unico corpo di cui Cristo è il Capo”.

L’amore della prima ora

Il Papa si sofferma sull’importanza dell’esemplarità, sa che nessuno è esente “dalle suggestioni del mondo e la città, con le sue mille proposte” che potrebbero allontanare da una vita santa, perdendo così i valori profondi del sacerdozio.

Lasciatevi ancora attrarre dalla chiamata del Maestro, per sentire e vivere l’amore della prima ora, quello che vi ha spinto a fare scelte forti e rinunce coraggiose. Se insieme proveremo ad essere esemplari dentro una vita umile, allora potremo esprimere la forza rinnovatrice del Vangelo per ogni uomo e per ogni donna.

Roma tra bellezza, povertà ed emergenza abitativa

Ritrovare la fiamma della vocazione in un tempo di sfide segnato da violenza e morte. “Ci interpellano – dice Leone XIV - le disuguaglianze, le povertà, tante forme di emarginazione sociale, la sofferenza diffusa che assume i tratti di un disagio che ormai non risparmia più nessuno”. Realtà, aggiunge, che non sono solo lontane ma che si vivono anche a Roma “segnata da molteplici forme di povertà e da gravi emergenze come quella abitativa”. Una città che, ricordava Papa Francesco, è la “grande bellezza” ma che chiede anche “il semplice decoro” perché sia vivibile e accogliente.

Queste sfide siamo chiamati ad abbracciarle, a interpretarle evangelicamente, a viverle come occasioni di testimonianza. Non scappiamo di fronte ad esse!

I profeti di pace e giustizia

L’invito di Papa Leone è di guardare a “santi sacerdoti che hanno saputo coniugare la passione per la storia con l’annuncio del Vangelo”, come don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani, “profeti di pace e di giustizia”.

E qui a Roma abbiamo avuto don Luigi Di Liegro che, di fronte a tante povertà, ha dato la vita per cercare vie di giustizia e di promozione umana. Attingiamo alla forza di questi esempi per continuare a gettare semi di santità nella nostra città.

Infine il Pontefice esprime vicinanza, affetto e disponibilità a camminare insieme, chiedendo al Signore di “crescere nell’unità, nell’esemplarità e nell’impegno profetico per servire il nostro tempo” facendo proprio l’appello di sant’Agostino perché si ami la Chiesa e si preghi per “le pecore sbandate” perché conoscano l’amore di Dio.

Reina: una diocesi composita e fedele al Papa

Nel suo saluto, il cardinale Baldo Reina, vicario generale per la diocesi di Roma e arciprete della Basilica Papale di San Giovanni in Laterano, ha presentato il clero romano composto da 809 sacerdoti e 149 diaconi permanenti, allargando alla presenza di preti di altre diocesi si tocca il totale di 8020 tra sacerdoti e diaconi. Di questi 132 sono in missione, oltre 50 hanno deciso di fermarsi per una sosta di riflessione o per altre sofferenze. Più di 50 sacerdoti anziani e con problemi di salute sono accuditi presso la casa san Gaetano al Divino Amore. Le parrocchie della diocesi sono 333. Ricordando la consuetudine di vivere insieme esperienze di comunione, il cardinale Reina sottolinea che le difficoltà non mancano, “non siamo esenti – ammette - dai condizionamenti culturali di questo tempo complesso e spesso ci interroghiamo su come reagire rispetto alle tante spinte che ci arrivano da ogni dove”. Infine il porporato rinnova “filiale rispetto e affetto per essere suoi collaboratori nel servizio pastorale”, promettendo “l’obbedienza della nostra vita al disegno del Padre per contribuire a rendere sempre più bella e santa la nostra amata diocesi”.

venerdì 6 giugno 2025

Missione di Betania a sostegno dei sacerdoti

 

Polonia, le Suore della Famiglia Betania: SOS di preghiera per i sacerdoti

Da ventisei anni un’iniziativa unisce migliaia di laici e presbiteri nella preghiera per i presbiteri. È la “Missione di Betania a sostegno dei sacerdoti”, che offre molte forme di cura spirituale e accompagnamento nel ministero. “Come fedeli, abbiamo dimenticato di pregare per i sacerdoti ed è più facile per noi soffermarci sui loro errori e sulle accuse su di essi”, spiega ai media vaticani Daria Tyborska, della congregazione delle Suore della Famiglia Betania

Karol Darmoros – Città del Vaticano

Suor Daria Tyborska

La Missione di Betania a sostegno dei sacerdoti è stata fondata in Polonia il 4 febbraio 1999 per iniziativa di suor Gabriela Bassista che, ascoltando la gioia e le preoccupazioni dei sacerdoti, rispose loro con la preghiera. La prima Adorazione del Santissimo Sacramento dedicata a loro ha generato una comunità di otto persone che si sono impegnate a pregare per tutta la vita per un particolare sacerdote. Oggi la missione conta più di 8.800 membri ed è guidata dalla congregazione delle Suore della Famiglia Betania, il cui carisma sacerdotale proviene dal fondatore, il polacco servo di Dio don Józef Małysiak. “Il carisma delle Suore di Betania si basa sul sostegno ai sacerdoti attraverso la preghiera e l’aiuto nel lavoro pastorale”, spiega suor Daria Tyborska.

Responsabilità per la Chiesa

La Missione di Betania vuole richiamare l’attenzione sulla necessità di un cambiamento nell’approccio alla responsabilità per la Chiesa. “Ci siamo abituati al fatto che è dominio dei sacerdoti e del clero e i laici vi sono meno impegnati. Fortunatamente questo pensiero sta cambiando e sta cambiando nella nostra preghiera e attraverso di essa”, ha osservato la religiosa. La Missione di Betania a sostegno dei sacerdoti mostra così che i fedeli sostengono i sacerdoti nella loro santità e vocazione: “Proprio come i sacerdoti sono responsabili di noi, noi come fedeli siamo responsabili dei nostri sacerdoti”, sottolinea ai media vaticani.

Comunità di preghiera per i sacerdoti

La Missione di Betania a sostegno dei sacerdoti riunisce sia i laici, amici di sacerdoti, le loro famiglie, gli amici, le persone di buona volontà, sia il clero. “Sì, i sacerdoti pregano gli uni per gli altri, anche i vescovi e le persone di vita consacrata pregano”, ha detto suor Daria. A ogni membro è affidato un sacerdote per il quale dovrebbe pregare, diventando la sua ‘ombra’ sostenendolo discretamente con la preghiera allo Spirito Santo e alla Madre di Dio. I partecipanti ricevono una tessera associativa, il libro di preghiere della Missione di Betania a sostegno dei sacerdoti e un’immagine ricordo per il sacerdote se pregano per un ecclesiastico di loro scelta.

Perché vale la pena pregare per i sacerdoti?

Suor Daria evidenzia anche la necessità di pregare per i sacerdoti a causa della situazione attuale. “Come credenti, ce ne siamo un po’ dimenticati, ci siamo tolti di dosso la responsabilità della Chiesa, imponendo questo giogo di idealità ai sacerdoti”, dichiara, citando san Giovanni Maria Vianney, il curato d’Ars, che disse: “Abbiamo tali sacerdoti quali li otteniamo con la preghiera». Tyborska è del parere che, sebbene i media spesso sottolineino le debolezze dei sacerdoti, i fedeli non dovrebbero giustificarsi con tali messaggi per abbandonare il sostegno al clero. “Ci siamo permessi – sottolinea ancora – di pensare: abbiamo davvero bisogno di questo sacerdozio nella Chiesa? E questo è già un pessimo modo per dubitare della presenza di Cristo nei sacramenti e nella Chiesa. Oggi Dio ci chiama ancora una volta a scoprire che il sacerdozio è santo al di sopra di tutto ciò che è debole e fragile e che è attuale, che la sua misericordia è attuale”.

Varie forme di sostegno

La Missione di Betania a sostegno dei sacerdoti offre varie iniziative che realizzano il carisma principale. Intenzioni di preghiera per i sacerdoti è un libro online a cui i fedeli e gli stessi sacerdoti inviano richieste di preghiera portate dalle suore davanti al Santissimo Sacramento. L’Ufficio delle intenzioni del messale consente di ordinare messe per i sacerdoti, sia vivi sia defunti. Le ‘domeniche sacerdotali’ sono incontri nelle parrocchie dove le suore danno testimonianza della preghiera per i sacerdoti, mostrando la bellezza del loro ministero. I ‘Gruppi di preghiera della Missione di Betania a sostegno dei sacerdoti’ organizzano l’adorazione il primo giovedì del mese mentre il ‘servizio di emergenza sms per i presbiteri’ consente ai sacerdoti di chiedere preghiere tramite messaggi di testo.

giovedì 5 giugno 2025

Papa Leone XIV - Udienza generale 4 giugno 2025

 

Il Papa: giovani, rimboccatevi le maniche. Rispondete a Dio che vi chiama

Nella sua terza udienza generale il Papa approfondisce la parabola del padrone di un terreno alla ricerca di operai da impiegare. È Dio che “esce più volte per andare a cercare chi aspetta di dare un senso alla sua vita”. Assolda persone in diverse ore della giornata e paga poi tutti allo stesso modo: sembra ingiusto, ma Dio vuole che “ognuno abbia ciò che è necessario per vivere” e "la vita piena, eterna e felice”, spiega Leone XIV. Gesù “non fa graduatorie, a chi gli apre il cuore dona tutto"


Tiziana Campisi – Città del Vaticano

Un mercato, gli operai, una vigna, il padrone: nella parabola che Leone XIV spiega ai fedeli all’udienza generale in piazza San Pietro ogni cosa ha un preciso significato. Il ciclo giubilare è ancora “Gesù Cristo Nostra Speranza” in cui, a proposito della vita del Maestro, vengono proposte catechesi sulle parabole narrate durante la sua predicazione. E questa mattina, 4 giugno, è su “Gli operai nella vigna” che il Papa si sofferma, dopo un ampio giro nell’emiciclo del Bernini fra 35 mila fedeli, che gli domandano benedizioni e gli offrono doni. Il Pontefice, sulla sua jeep bianca, non si sottrae alle richieste dei pellegrini e così pone le sue mani sul capo di alcuni bambini, firma una palla da baseball e per pochi istanti indossa uno zucchetto identico al suo, restituendolo, poi, a chi glielo aveva fatto consegnare.

Sul sagrato della Basilica vaticana, poi, Leone XIV, iniziando la catechesi, anticipa che la parabola degli operai nella vigna è “un racconto che nutre la nostra speranza”, prima di analizzare situazioni e significati che vi si celano. Speranza perché se è vero che talvolta non riusciamo “a trovare un senso per la nostra vita” e “ci sentiamo inutili, inadeguati, proprio come degli operai che aspettano sulla piazza del mercato, in attesa che qualcuno li prenda a lavorare”, se “il tempo passa, la vita scorre e non ci sentiamo riconosciuti o apprezzati”, o magari “non siamo arrivati in tempo, altri si sono presentati prima di noi, oppure le preoccupazioni ci hanno trattenuto altrove”, ad aprire nuovi orizzonti è il padrone della vigna, che esce varie volte per cercare chi possa lavorare nella sua terra, al mattino, nel cuore della giornata e anche nel tardo pomeriggio.

Il mercato è il luogo degli affari, dove purtroppo si compra e si vende anche l’affetto e la dignità, cercando di guadagnarci qualcosa. E quando non ci si sente apprezzati, riconosciuti, si rischia persino di svendersi al primo offerente. Il Signore ci ricorda invece che la nostra vita vale, e il suo desiderio è di aiutarci a scoprirlo. Perciò non bisogna scoraggiarsi, insiste il Pontefice, che esorta “anche nei momenti bui della vita, quando il tempo passa senza darci le risposte che cerchiamo”, a chiedere a Dio “che ci raggiunga là dove lo stiamo aspettando”.

Un invito ai giovani

Nella parabola, dunque il padrone della vigna è Dio, che “esce più volte per andare a cercare chi aspetta di dare un senso alla sua vita”. Per il Papa uno spunto per rivolgersi più direttamente ai ragazzi di oggi.

Vorrei dire, specialmente ai giovani, di non aspettare, ma di rispondere con entusiasmo al Signore che ci chiama a lavorare nella sua vigna. Non rimandare, rimboccati le maniche, perché il Signore è generoso e non sarai deluso! Lavorando nella sua vigna, troverai una risposta a quella domanda profonda che porti dentro di te: che senso ha la mia vita?

Vale sempre la pena

La ricerca continua di operai, da parte del padrone della vigna, anche quando “non ci sarebbe più ragione di uscire ancora”, ci dice poi altro, ossia che “questo padrone instancabile” desidera “a tutti i costi dare valore alla vita di ciascuno di noi”, sottolinea Leone. E se pare che non abbia senso “prendere degli operai solo per l’ultima ora della giornata”, “andare a lavorare solo per un’ora”, tutto è da considerare diversamente. 

Anche quando ci sembra di poter fare poco nella vita, ne vale sempre la pena. C’è sempre la possibilità di trovare un senso, perché Dio ama la nostra vita.

Dio conosce la dignità di ogni uomo

Ma c’è un altro grande insegnamento nascosto nella parabola, da scorgere quando il padrone paga gli operai: un denaro ai primi operai, come concordato, e lo stesso agli altri.

Per Dio, è giusto che ognuno abbia ciò che è necessario per vivere. Lui ha chiamato i lavoratori personalmente, conosce la loro dignità e in base ad essa vuole pagarli.

Gesù non fa graduatorie

E invece “gli operai della prima ora rimangono delusi”, perché quanti hanno lavorato meno hanno ricevuto la loro stessa paga. “Non riescono a vedere la bellezza del gesto del padrone, che non è stato ingiusto, ma semplicemente generoso, non ha guardato solo al merito, ma anche al bisogno”, specifica il Papa.

Dio vuole dare a tutti il suo Regno, cioè la vita piena, eterna e felice. E così fa Gesù con noi: non fa graduatorie, a chi gli apre il cuore dona tutto Sé stesso.

La risposta di sant'Agostino

La parabola potrebbe indurre il cristiano a “pensare perché cominciare a lavorare subito” e “di più” dato che “la remunerazione è la stessa”. Leone XIV ricorre allora a Sant’Agostino per raccomandare di non cadere in questa tentazione “Perché dunque ritardi a seguire chi ti chiama, mentre sei sicuro del compenso ma incerto del giorno? Bada di non togliere a te stesso, a causa del tuo differire, ciò ch’egli ti darà in base alla sua promessa”.

Difendere la dignità umana anche nell'ultima ora

Nei saluti rivolti ai pellegrini francesi, il Pontefice ricorda, poi, che il mondo “fatica a trovare un valore alla vita umana, anche nella sua ultima ora: lo Spirito del Signore - afferma - illumini le nostre menti, affinché sappiamo difendere la dignità intrinseca di ogni persona umana”. Il Pontefice esorta, inoltre, i fedeli polacchi a guardare ai santi e ai beati per rispondere alla chiamata del Signore, “tra di loro - aggiunge - vi è il beato Pier Giorgio Frassati", patrono dell’Incontro dei Giovani nei Campi di Lednica. “Non ci scoraggiamo! Anche nei momenti bui della vita, - ribadisce Papa Leone ai pellegrini di lingua araba - Dio viene sempre a incontrarci con amore e speranza”. Infine agli italiani, nel clima di preparazione alla solennità di Pentecoste, invita ad “essere sempre docili all'azione dello Spirito Santo, invocandone la luce e la forza”.

martedì 3 giugno 2025

Intervento del Card. Mario Grech all’Assemblea dell’USG

Vita consacrata, motore di speranza in una Chiesa sinodale

Roma, 23 maggio 2025

 


Sono lieto di trovarmi con voi a riflettere sulla sinodalità e la vita consacrata nel contesto del Giubileo della speranza e a pochi giorni di distanza dall’elezione e dal solenne inizio del Ministero petrino del nuovo Papa Leone XIV.

Come ben sapete, il Santo Padre ha fatto riferimento alla sinodalità fin dal suo primo saluto dalla loggia della Basilica Vaticana, l’8 maggio scorso, quando si è rivolto ai fedeli di Roma, d’Italia e del mondo intero con queste parole: «Vogliamo essere una Chiesa sinodale, una Chiesa che cammina». Anche due giorni più tardi, incontrando il Collegio Cardinalizio, ha dichiarato la sua volontà di collocarsi nella scia del rinnovamento promosso dal Concilio Vaticano II, così come esso è stato attualizzato nell’Esortazione Apostolica di Papa Francesco Evangelii gaudium, della quale ha rimarcato, tra le altre cose, l’invito a crescere «nella collegialità e nella sinodalità». E di nuovo, il 19 maggio scorso, incontrando i rappresentanti delle altre Chiese cristiane e delle altre Religioni, il Santo Padre ha affermato: «Consapevole che sinodalità ed ecumenismo sono strettamente collegati, desidero assicurare la mia intenzione di proseguire l’impegno di Papa Francesco nella promozione del carattere sinodale della Chiesa Cattolica e nello sviluppo di forme nuove e concrete per una sempre più intensa sinodalità in campo ecumenico». Con queste parole, Leone XIV ci incoraggia ad andare avanti nel cammino della sinodalità, facendo fruttificare i numerosi semi piantati nel terreno della Chiesa nel corso del processo sinodale 2021-2024.

Quel processo, del resto, non si è ancora concluso. Infatti, secondo la Costituzione Apostolica Episcopalis communio di Papa Francesco, che nel 2018 ha trasformato il Sinodo da evento a processo, la tappa celebrativa è il momento centrale ma non ancora il momento conclusivo del cammino, cammino che deve proseguire con la tappa ulteriore dell’attuazione e, per utilizzare un termine più pregnante, della recezione. Se la tappa della celebrazione è senza dubbio quella che fa più “rumore”, la tappa della recezione è invece, per molti aspetti, quella più importante. Sì, perché non basta condurre riflessioni, stendere documenti, approvarli a larga maggioranza, cose pure fondamentali. Non basta neppure l’approvazione ufficiale del Vescovo di Roma, come è avvenuto in questo caso con la decisione a dir poco “storica” di Papa Francesco di includere esplicitamente il Documento Finale del Sinodo nel suo Magistero universale, rinunciando in tal modo a stendere una Esortazione Apostolica post-sinodale. La storia della Chiesa è costellata di decisioni, conciliari o pontificie, che sono cadute nel nulla a causa della mancata recezione da parte del Popolo di Dio. Ecco, infatti, che cos’è la recezione: l’appropriazione vivente di un pronunciamento magisteriale da parte del Popolo di Dio, che in esso riconosce una regola conforme alla sua vita.

È un processo che l’autorità ecclesiastica può e deve incoraggiare con opportune iniziative – ed è questo lo scopo del lavoro attualmente in corso dei Gruppi di Studio istituiti nel 2024, così come degli appuntamenti che la Segreteria Generale del Sinodo, con l’approvazione di Papa Francesco, ha calendarizzato da qui fino al 2028 – ma che ultimamente non si può manovrare dall’alto. Il protagonista della recezione è, infatti, lo Spirito Santo, che agisce nell’intimo del Popolo di Dio e lo conduce pian piano sulla via della riforma, di cui Egli stesso è il divino motore.

Questo vale anche per il tema specifico che oggi mi chiedete di trattare con voi: la vita consacrata, motore di speranza in una Chiesa sinodale. Vi ringrazio di quest’invito, che mi permette di rileggere con voi il processo sinodale sotto il faro del Giubileo della speranza attualmente in corso. Lo farò prendendo spunto anzitutto dal Documento Finale, che delinea una “mappa” ricca e articolata per la conversione sinodale della Chiesa, tenendo conto al tempo stesso di varie altre sollecitazioni emerse nel corso dell’intero processo.

In particolare, mi soffermerò su tre aspetti, fra loro intimamente connessi: la centralità della Chiesa locale, l’esercizio dell’autorità e il primato della missione. Temi, questi, su cui tanto il Magistero di Francesco quanto il Magistero di Leone, due papi provenienti entrambi dalle file di Ordini religiosi, il primo gesuita e il secondo agostiniano, hanno certamente molto da insegnarci.

 

La profezia della vita consacrata nelle Chiese locali

Fin dal Documento Preparatorio pubblicato nel 2021 il processo sinodale ha optato consapevolmente per la valorizzazione delle Chiese locali. Il Popolo di Dio, infatti, non è un’entità astratta, un “essere di ragione”, ma un Popolo concreto, un Popolo dai molti volti che vive in ciascuna delle Chiese locali, in quibus et ex quibus – «nelle quali e dalle quali», secondo la felice espressione utilizzata dal Concilio Vaticano II in Lumen gentium 23 – esiste l’una e unica Chiesa cattolica.

È senz’altro vero che il Concilio non ha sviluppato una teologia sistematica della Chiesa locale: i suoi testi sul tema, per quanto importanti, non riescono a disegnare un quadro completo, in grado di riequilibrare la tendenza unilateralmente universalistica dell’ecclesiologia del secondo millennio. Dovremmo tessere insieme molte affermazioni sparse qua e là – contenute non solo in Lumen gentium, ma anche in documenti come Sacrosanctum Concilium Ad gentes – per approssimarci almeno un po’ alla teologia conciliare della Chiesa locale.

Proprio per questo motivo, si avvertiva da tempo l’esigenza di un passo in avanti in questa direzione, e non tanto per ragioni ideologiche, ovvero per una sorta di “complesso anti-romano”, bensì per ragioni squisitamente teologico-pastorali. La Chiesa di Gesù Cristo non è una realtà che sovrasta i popoli della terra, imponendosi dall’alto come un monolite estraneo alle loro culture. La Chiesa, piuttosto, è il Popolo di Dio che si incarna negli innumerevoli popoli della terra, assumendo un volto specifico e una voce inconfondibile in ciascun “luogo” dove arriva il cristianesimo. È quanto spiega molto bene un testo come Lumen gentium 13, con il suo prolungamento in Ad gentes 22. Una teologia delle Chiese locali è, in definitiva, una teologia inculturata, di cui oggi c’è urgente bisogno di fronte a un mondo sempre più plurale, a una società sempre più globalizzata e, soprattutto, a una Chiesa sempre meno occidentale.

Coerentemente con quest’opzione programmatica, la prima fase del processo sinodale, quella della consultazione del Popolo di Dio, è avvenuta nelle Chiese locali, sotto la guida dei vescovi diocesani. In questa luce, pur preservando il contributo specifico della USG e della UISG (che, tra l’altro, hanno significativamente scelto di elaborare un documento condiviso), è stato chiesto ai Consacrati e alle Consacrate di camminare insieme alle Chiese locali in cui vivono ed esercitano il loro ministero. Sappiamo che lo hanno fatto con generosità, come dimostra tra le altre cose la presenza di molti di loro – o meglio, di molti voi – nelle equipe sinodali che, seguendo le indicazioni offerte dal Vademecum pubblicato dalla Segreteria Generale del Sinodo, sono state costituite in ciascuna Diocesi. Questa collaborazione o, più correttamente, quest’integrazione dei carismi della vita consacrata nei cammini diocesani ha consentito un reciproco arricchimento: le Chiese locali hanno potuto inserirsi più profondamento nel processo del Sinodo aiutate dalle ricche tradizioni e dai consolidati stili sinodali degli Istituti religiosi, questi a loro volta hanno sperimentato che il vero “camminare insieme” è sempre un camminare con tutta la Chiesa, della quale gli Istituti religiosi sono una parte, per quanto preziosa, ma non il tutto.

Queste istanze si ritrovano non a caso nel Documento Finale approvato a ottobre 2024, nel quale leggiamo:

Nel corso dei secoli, i doni spirituali hanno dato origine anche a varie espressioni di vita consacrata. Fin dagli albori la Chiesa ha riconosciuto l’azione dello Spirito nella vita di quegli uomini e donne che hanno scelto di seguire Cristo sulla via dei consigli evangelici, consacrandosi al servizio di Dio tanto nella contemplazione quanto in molteplici forme di servizio. La vita consacrata è chiamata a interpellare la Chiesa e la società con la propria voce profetica. Nella loro secolare esperienza, le famiglie religiose hanno maturato sperimentate pratiche di vita sinodale e di discernimento comunitario, imparando ad armonizzare i doni individuali e la missione comune. Ordini e Congregazioni, Società di vita apostolica, Istituti secolari, come pure Associazioni, Movimenti e Nuove Comunità hanno uno speciale apporto da dare alla crescita della sinodalità nella Chiesa (n. 65).

In questo testo mi colpisce soprattutto il riferimento alle «sperimentate pratiche di vita sinodale e di discernimento comunitario», che da sempre fanno degli Istituti religiosi, a cominciare dai più antichi, degli autentici laboratori di sinodalità. Essi ci insegnano, attraverso l’istituto del capitolo (generale e provinciale), che le decisioni importanti che riguardano tutti devono essere assunte da tutti, secondo un principio tradizionale richiamato da Papa Francesco nel suo celebre discorso per il 50° anniversario del Sinodo dei Vescovi: «Quod omnes tangit ab omnibus tractari debet». Ci insegnano, ancora, che la decisione finale non esprime tanto il trionfo della maggioranza sulla minoranza, né rappresenta solo un compromesso tra pareri divergenti, ma che essa, pur tenendo conto di tutti gli strumenti umani, scaturisce in ultima analisi dalla preghiera concorde e dalla comune ricerca della volontà di Dio. Ci insegnano, infine, che le votazioni e le elezioni, quali strumenti di democrazia da sempre in uso presso tutti gli Istituti religiosi, possono essere concepite e vissute in modo non parlamentarista e non partitico, bensì come ricerca del consenso fra tutti, nella consapevolezza che proprio il consenso tra le parti, soprattutto quando tende all’unanimità, è normalmente la manifestazione della volontà di Dio qui e ora.

Queste formidabili ricchezze della vita consacrata – certo sottoposte anch’esse alle debolezze umane e alle evoluzioni storiche – possono e devono diventare stile anche delle nostre Chiese locali, magari ispirando la prassi degli organismi diocesani di partecipazione sorti dopo il Concilio, che oggi sono spesso in sofferenza per mancanza di spiritualità, di formazione e anche di convinzione: il consiglio presbiterale, il consiglio pastorale, il sinodo diocesano, solo per citare i principali. In tal senso, il mio invito è a proseguire e a intensificare l’integrazione della vita consacrata nei cammini delle Chiese locali, scommettendo sempre più sulla “logica” del mutuo scambio di doni, in cui ciascuna parte ha sia da ricevere sia da donare.

Ognuno dei vostri Istituti, in particolare, ha sviluppato nel tempo forme specifiche di spiritualità, forgiate dal carisma dei vostri fondatori e dalle vicende storiche che vi hanno contraddistinto: forme di spiritualità all’interno delle quali si inseriscono modelli caratteristici di discernimento, tra loro diversi ma ultimamente complementari. Anche questa eccezionale varietà è il segno dell’azione dello Spirito Santo e della sua infinita fantasia. Nella prima fase del processo sinodale, grazie al contributo di alcuni di voi, la Segreteria Generale del Sinodo ha pubblicato un bel fascicolo, intitolato Verso una spiritualità per la sinodalità, e contemporaneamente ha affidato a diversi rappresentanti della vita consacrata il compito di preparare delle sintesi di spiritualità sinodale a partire dalle tradizioni di alcuni dei principali Istituti religiosi o delle nuove Comunità (sintesi tuttora accessibili dal sito ufficiale del Sinodo): Agostiniani, Benedettini, Domenicani, Comunità di Sant’Egidio, Francescani, Ignaziani, Salesiani e Movimento dei Focolari. Tutti voi – membri di antichi e nuovi Istituti di vita consacrata e Società di vita apostolica – siete maestri di spiritualità e di discernimento, e potete – dovete! – arricchire con la vostra esperienza le Chiese locali nelle quali il Signore vi ha chiamato, lungo i secoli, a piantare le vostre tende.

 

Un esercizio profetico dell’autorità

In secondo luogo, un Sinodo sulla partecipazione – cioè sul protagonismo di tutti i battezzati e di tutte le battezzate all’unica missione ecclesiale – non poteva non mettere a tema il delicato nodo dell’autorità nella Chiesa. In un certo senso, il processo sinodale sta favorendo l’emergere di una rinnovata teologia dell’autorità, da cui dovrebbe coerentemente scaturire un rinnovato esercizio dell’autorità.

Nella fase della consultazione non sono mancate voci franche intorno a una comprensione e un esercizio distorti dell’autorità ecclesiale, anche nell’ambito della vita consacrata. Il Documento di Lavoro per la Tappa Continentale – sintetizzando le risposte alla consultazione promossa nella prima fase del processo sinodale – ha dato voce a «un desiderio profondo ed energico di forme di esercizio della leadership – episcopale, sacerdotale, religiosa e laicale – che siano relazionali e collaborative, e di forme di autorità capaci di generare solidarietà e corresponsabilità. […] Laici, religiosi e chierici desiderano mettere i propri talenti e capacità a disposizione della Chiesa e per farlo chiedono un esercizio della leadership che li renda liberi» (n. 58).

Il Sinodo, in quest’orizzonte, ci ha aiutato a capire che gli abusi nella Chiesa non riguardano solo l’ambito sessuale, dal momento che quest’ultimo è in realtà l’esito estremo e drammatico di molte altre forme di violazione della coscienza e della libertà personale. L’abuso sessuale, in effetti, diventa possibile nel quadro di una comprensione e di un esercizio distorti dell’autorità, e questo – come ben sapete – tocca in modo particolare molti Istituti religiosi. Nel caso, poi, della vita consacrata femminile, gli abusi sono al tempo stesso la manifestazione patologica di una mentalità maschilista, che – nonostante i progressi fatti nell’ultimo secolo in ordine all’emancipazione delle donne – continua ad affliggere le nostre società e anche le nostre comunità ecclesiali. In tal senso, la Relazione di Sintesi, approvata al termine della Prima Sessione dell’Assemblea sinodale nell’ottobre 2023, afferma espressamente: «I casi di abuso di vario genere a danno di persone consacrate e membri di aggregazioni laicali, in particolare donne, segnala un problema nell’esercizio dell’autorità e richiede interventi decisi e appropriati» (n. 10/d).

Per il Documento Finale la lotta alla piaga degli abusi non può essere condotta solo con gli strumenti, pure necessari, della repressione e della sanzione. Occorre un cambiamento di mentalità, di stile, di cultura ecclesiale, che coinvolga anzitutto il nostro modo di concepire e di vivere l’autorità, a tutti i livelli della Chiesa: è quanto già voi stessi, Consacrati e Consacrate, chiedevate nella vostra risposta alla prima consultazione del processo sinodale, auspicando «uno stile di governance circolare (partecipativo) e meno gerarchico e piramidale», capace di promuovere una Chiesa più improntata alla sororità e alla fraternità, fondate sull’iniziazione cristiana e sulla stessa consacrazione religiosa.

Solo modelli di leadership più capaci di collaborazione tra le parti, di condivisione delle responsabilità, di trasparenza e di rendicontazione – cioè, in una parola, di sinodalità – potranno sradicare in profondità quelle tendenze anche sottili all’abuso che proprio negli Istituti religiosi hanno spesso trovato un terreno di coltura. Vale in tal senso anche per i Consacrati e le Consacrate, a cominciare da voi che esercitate un ministero di autorità all’interno dei vostri rispettivi Istituti, quanto il Documento Finale afferma riferendosi in special modo ai Ministri ordinati:

Una distribuzione più articolata dei compiti e delle responsabilità, un discernimento più coraggioso di ciò che appartiene in proprio al Ministero ordinato e di ciò che può e deve essere delegato ad altri, ne favorirà l’esercizio in modo spiritualmente più sano e pastoralmente più dinamico in ciascuno dei suoi ordini. Questa prospettiva non mancherà di avere un impatto sui processi decisionali caratterizzati da uno stile più chiaramente sinodale. Aiuterà anche a superare il clericalismo inteso come uso del potere a proprio vantaggio e distorsione dell’autorità della Chiesa che è servizio al Popolo di Dio. Esso si esprime soprattutto negli abusi sessuali, economici, di coscienza e di potere da parte dei Ministri della Chiesa. «Il clericalismo, favorito sia dagli stessi Sacerdoti sia dai Laici, genera una scissione nel Corpo ecclesiale che fomenta e aiuta a perpetuare molti dei mali che oggi denunciamo» (Francesco, Lettera al Popolo di Dio, 20 agosto 2018) (n. 74).

La vita consacrata profezia di missionarietà

In terzo e ultimo luogo, vorrei spendere una parola sulla dimensione essenzialmente missionaria della conversione sinodale della Chiesa. Nel corso del processo abbiamo compreso in modo sempre più profondo che la parola “missione”, contenuta nel titolo del Sinodo accanto alle parole “partecipazione” e “comunione”, non era una semplice appendice estrinseca. Se quella parola è collocata per ultima, ciò non vuole esprimere la sua minore importanza. Piuttosto, essa si trova alla fine perché è, per così dire, quella che “spinge” il Sinodo a uscire fuori dalle aule, a protendersi verso l’umanità e il mondo, a delineare il volto di una Chiesa non introversa, cioè ripiegata sui suoi meccanismi interni, ma estroversa, cioè meglio attrezzata per l’opera fondamentale dell’evangelizzazione in quest’ora della storia.

Ricorre quest’anno, come è noto, il 60° anniversario della pubblicazione del Decreto Ad gentes, che, licenziato al termine del Concilio Vaticano II, ha ripensato il tema classico delle “missioni” alla luce della “missione” generale della Chiesa, in quanto quest’ultima, traendo origine dalle missioni congiunte del Figlio e dello Spirito Santo, è «per sua natura missionaria» (n. 2). Forse fino a oggi non abbiamo ancora colto le ripercussioni teologiche e pastorali di questa nuova comprensione della Chiesa, che per molti aspetti ci riporta all’esperienza delle prime comunità cristiane, quelle degli Atti degli Apostoli e dell’epistolario paolino. Quest’anniversario potrebbe, in tal senso, aiutarci a rileggere il decreto conciliare, magari con l’aiuto dei principali documenti magisteriali post-conciliari che ci hanno aiutato a precisare i contorni di una Chiesa costitutivamente missionaria, in particolare l’Esortazione Apostolica Evangelii nuntiandi di Paolo VI, pubblicata esattamente cinquant’anni fa, nel contesto dell’Anno Santo 1975, quale frutto del Sinodo sull’evangelizzazione, e l’Esortazione Apostolica Evangelii gaudium di Francesco, alla quale – come ho detto – lo stesso Leone XIV ha fatto riferimento nel suo discorso ai cardinali del 10 maggio scorso.

Potremmo dire che il Sinodo sulla sinodalità, con la sua profonda istanza di rinnovamento delle istituzioni ecclesiali in senso partecipativo, ha costituito un modo per tradurre in pratica il sogno espresso da Papa Francesco in Evangelii gaudium:

Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di “uscita” e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia (n. 27).

Questo “sogno” di Francesco – che è diventato anche il “sogno” del Sinodo – interpella in modo particolare proprio voi Consacrati, dal momento che i vostri Istituti Religiosi sono da sempre avamposti del dinamismo missionario della Chiesa. Infatti, è in gran parte grazie a voi – alla dedizione, al coraggio e alla generosità dei vostri missionari e delle vostre missionarie di ieri e di oggi, molti chiamati addirittura al martirio – che la Bella Notizia di Gesù Cristo è arrivata nei punti più estremi del pianeta. Non sorprende, in tale orizzonte, che nei primi interventi di Papa Leone il tema della missione sia così insistente, considerando che egli stesso è stato missionario per gran parte della sua vita, al punto da unire nella sua persona e nel suo ministero le due Americhe, quella del Nord e quella del Sud. Anche il Documento Finale ha con onestà riconosciuto questo vostra costitutiva attitudine missionaria:

Riconosciamo agli Istituti di Vita Consacrata, alle Società di Vita Apostolica […] la capacità di radicarsi nel territorio e al tempo stesso di collegare luoghi e ambiti diversi, anche a livello nazionale o internazionale. Spesso è la loro azione, assieme a quella di tante singole persone e gruppi informali, a portare il Vangelo nei luoghi più diversi: ospedali, carceri, case per anziani, centri di accoglienza per migranti, minori, emarginati e vittime della violenza; luoghi educativi e di formazione, scuole e università, in cui si incontrano giovani e famiglie; luoghi della cultura, della politica e dello sviluppo umano integrale dove si immaginano e si costruiscono nuove forme di vivere insieme (n. 113).

In questa nuova tappa del cammino della Chiesa, che ha preso avvio con la conclusione della fase celebrativa del Sinodo e che conosce ora un nuovo impulso grazie al pontificato di Leone XIV, proprio voi Consacrati, appartenenti a Istituti antichi e moderni, dovete sentirvi investiti del compito di essere avamposti del rinnovamento missionario di tutta la Chiesa: le vostre comunità, quale «laboratorio di interculturalità» (n. 65), possono contribuire a rendere il cristianesimo contemporaneo più capace di mettere il Vangelo in dialogo con tutte le culture, di raggiungere con la Parola tutte le periferie, di suscitare partecipazione e protagonismo laddove persone e popoli sono ancora costretti all’emarginazione e all’oppressione, di stendere ponti di pace laddove trionfano ancora le ragioni del conflitto.

Proprio questo, del resto, è il desiderio espresso dal nuovo Vescovo di Roma nell’omelia per l’inizio del suo Ministero petrino: il desiderio, esplicitamente ispirato all’ecclesiologia di Sant’Agostino d’Ippona, di «una Chiesa unita, segno di unità e di comunione, che diventi fermento per un mondo riconciliato».