venerdì 18 aprile 2025
giovedì 17 aprile 2025
Giubileo del Dicastero per la Vita Consacrata
Giubileo del Dicastero per la Vita Consacrata: in cammino per i perseguitati del Vangelo
Lorena Leonardi – Città del Vaticano
“In ogni volto, in ogni passo, in ogni cuore vive una storia fatta di porte aperte e chiuse, soglie varcate, da oltrepassare o sulle quali attendere con rispetto. Ma ognuno di noi ha qualche passaggio da valicare". Sono parole della prefetta del Dicastero per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica suor Simona Brambilla, che nella mattina di lunedì 14 aprile, portando la croce giubilare, ha dato il via in piazza Pia al pellegrinaggio per l’Anno Santo dell’organismo della Santa Sede del quale è alla guida dal 6 gennaio scorso.
Al cammino lungo via della Conciliazione hanno preso parte gli oltre 40 officiali del Dicastero che rappresenta tutte le forme di vita consacrata e si configura come una delle realtà Vaticane dove presta servizio un numero molto alto di donne. “Passando attraverso la Porta Santa — ha proseguito la missionaria della Consolata — ciascuno di noi ha portato con sé le sue soglie, i suoi passaggi. Ma anche, custoditi nel cuore, i desideri, le attese, i sogni e le sofferenze di tanti consacrati e consacrate incontrati in Dicastero o per il mondo, per affidarli a Colui nel quale è ancorata la speranza che non delude".
Una grazia per tutti
Le ha fatto eco l’officiale Martin Wolf, missionario oblato di Maria Immacolata, originario di Heidelberg in Germania: “Mi sono fatto accompagnare in questo pellegrinaggio giubilare dalla realtà della vita consacrata nel mondo, con tutte le gioie, le sfide, i problemi che incontriamo quotidianamente nel nostro lavoro. Attraversando la Porta Santa ho chiesto al Signore la sua grazia per tutti noi".
Ha sperimentato “la gioia di camminare insieme nella diversità ma uniti in Cristo" suor Suzanne Bahati, delle Suore del Divin Salvatore, congolese. Al Dicastero da pochi mesi, la religiosa ha condiviso l’entusiasmo di ricevere l’indulgenza “come pellegrini di speranza verso un mondo che ha tanto bisogno della pace".
Accanto ai perseguitati a motivo della fede
Durante il pellegrinaggio, la croce è passata di mano in mano tra i partecipanti per arrivare, nell’ultimo passaggio, a suor Angelica Hernández, delle Francescane missionarie volontarie dei poveri: la religiosa messicana ha raccontato di un “momento indimenticabile" proprio perché “camminando verso la tomba di Pietro affidavamo alla nostra preghiera tutti i consacrati del mondo, soprattutto quelli che vivono il momento della croce a causa del Vangelo. Mentre sostenevo la croce — ha confidato — avevo in mente i consacrati che subiscono persecuzioni religiose da parte dei regimi politici", ma in generale quanti “in nome di Cristo offrono la loro vita e hanno bisogno della nostra preghiera per affrontare fino in fondo la loro testimonianza di fede".
A coronamento del pellegrinaggio giubilare e in preparazione alla Pasqua, ieri, martedì 15 aprile, il personale del Dicastero ha vissuto una giornata di ritiro spirituale a partire dalla riflessione offerta dal gesuita Giacomo Costa sulla resurrezione di Gesù narrata nel Vangelo di Giovanni; poi, dopo un tempo di silenzio individuale, gli officiali si sono riuniti per una condivisione in gruppi secondo lo stile sinodale e per la celebrazione della messa.
mercoledì 16 aprile 2025
lunedì 14 aprile 2025
sabato 12 aprile 2025
Vocazioni felici
"Vocazioni felici", il libro di Chiara D'Urbano su chiamata e affettività
Eugenio Murrali - Città del Vaticano
“Dare valore a tutto quello di bello che c’è nell’essere umano” e aiutarci con quello che le scienze umane offrono, perché “anche come comunità credente, non possiamo esimerci da quello che la comunità scientifica ci porta come comprensioni delle realtà umane”. Sono parole di Chiara d’Urbano, l’autrice di Vocazioni felici. Integrare orientamento sessuale, affetti e relazioni (edizioni San Paolo), presentato questo pomeriggio, 9 aprile, nella Sala della Conciliazione del Palazzo Lateranense. Nel libro della psicoterapeuta l’integrazione è vista attraverso due prospettive, quella personale e quella ambientale del contesto, perché, afferma, “c’è una responsabilità individuale, ma anche il bisogno di una rete attorno”. All'interno del volume, che è un testo esperienziale, sono presenti anche significative testimonianze.
La prefazione di Papa Francesco
Il volume è aperto dalla prefazione del Pontefice, che si rivolge a Chiara D'Urbano con una lettera. Il Papa osserva che "parlare di vocazioni e alle vocazioni significa farsi vicino alle gioie e alle sofferenze di un servizio spesso non apprezzato. Eppure il mondo ha bisogno di sentir parlare di Dio, di incontrare e riconoscere i testimoni di un amore che include, che perdona, che non delude, che non segue le mode del tempo. L'Amore per sempre e per tutti, tutti, tutti!". Anche Francesco, come l'autrice all'interno del saggio, si sofferma sulla dimensione dei religiosi, che spesso sentono il peso di un pregiudizio che li vorrebbe perfetti: "Il Signore non ci ha chiamato al ministero alla vita comune perché siamo 'speciali', migliori di altri, ma ci è venuto a cercare nella nostra debolezza, ha bussato al nostro cuore difettoso, ha guardato e ha amato la nostra natura umana. Noi dobbiamo rispondere con tutto questo alla Sua chiamata d'amore. In questo senso, credo che possiamo dire che persone integrate, per esempio, possono essere i preti e le consacrate che sanno riconoscere e benedire 'il cuore', centro unificatore e propulsore di tutto, e con creatività, coraggio, e audacia annunciano il Risorto. Non integrate sono invece le persone critiche, che hanno messo il cuore sotto chiave o sperimentano il vuoto nella loro vocazione, e allora cercano altro". A conclusione della sua lettera, mette in rilievo la forza dello studio di D'Urbano: "Il tuo libro ci ricorda che le scienze umane hanno molto da dirci sul tema dell'integrazione dell'affettività, dell'orientamento sessuale, e delle relazioni interpersonali. So che da anni ti occupi di accompagnare cuori di fratelli e sorelle in ricerca, ricordandoci che i sacerdoti e le religiose saranno vocazioni realizzate e felici se si lasciano plasmare dalla Grazia, e lavorano sulla propria umanità originale e unica, perché diventi consapevole e armoniosa".
Una visione serena sull'umano
Il cardinale Baldassare Reina, vicario per la Diocesi di Roma, ha salutato la sala piena e si è soffermato sul valore del libro, sottolineando quanto il cammino vocazionale sia un percorso impegnativo, con delle difficoltà umane, ma con l’obiettivo di una vocazione felice, che nel volume è descritta con "un'idea forte", quella dell'integrazione di tutte le dimensioni della persona, perché "noi non solo abbiamo un corpo, ma siamo un corpo, non solo abbiamo dei sentimenti, ma siamo i sentimenti". Un'attenzione particolare va rivolta alla storia personale di ognuno, una storia che "segna e insegna", come anche è centrale la nuova attenzione data alle scienze umane nella formazione. Per il cardinale è fondamentale "avere una visione serena sull'umano, che è quanto di più bello potesse regalarci il buon Dio e quanto di più fragile, il vaso di creta di cui parla Paolo in una delle sue lettere". Chi forma e accompagna deve avere, asserisce monsignor Reina, "un atteggiamento di delicatezza", di fronte a un'umanità fragile che a volte fa fatica a integrare le diverse spinte, quella affettiva, sessuale, vitale, relazionale. "Il libro che Chiara D'Urbano ci consegna - conclude il vicario -, è un messaggio di responsabilità rivolto a tutti noi che viviamo la vocazione, ma anche a chi questa vita la osserva dall'esterno". Non bisogna dimenticare l'umanità delle persone consacrate e anche chi osserva ha, conclude il cardinale, il dovere di accompagnare senza giudicare.
Non rinuncia alla felicità, ma compimento vero
Per il cardinale Lazarus You Heung-sik, prefetto del Dicastero per il Clero, il libro di Chiara D'Urbano sa affrontare "con profondità e delicatezza il mistero della vocazione, restituendole il volto che le è proprio: quello della gioia, della pienezza, della vita realizzata". In questo senso, la vocazione non si configura come "una rinuncia alla felicità", ma anzi diventa "il suo compimento più vero". A tal proposito il prefetto ha citato l'esortazione apostolica Christus vivit e ha ricordato il "progetto di felicità" che il Padre ha per noi. Nel presentare il volume, il presule ha sottolineato che "vocazione significa scoprire chi sono veramente, per chi sono fatto, e lasciarmi amare e trasformare da questo incontro". L'approccio integrale alla persona, spesso richiamato dal Pontefice nel suo magistero, è uno dei meriti dello studio di D'Urbano secondo il cardinale, che ha specificato, richiamando le parole del Papa: "non si tratta di formare funzionari del sacro, ma discepoli missionari, uomini e donne pieni di umanità, capaci di ascolto, di empatia, di dono". La realizzazione di ogni vocazione - "un cammino unico e personale, che deve essere accompagnato con rispetto, delicatezza e profondo discernimento" - è inscindibilmente legata alla "piena integrazione della maturità psicoaffettiva". Il prefetto vede Vocazioni felici come "un appello alla Chiesa tutta", quello a creare un “ambiente vocazionale”, una cultura dell’ascolto e dell’incontro, dove sia possibile porre domande vere, e dove i giovani possano fare esperienza della bellezza di una vita donata, integrata, realizzata.
Partire dalla biografia della persona
Il vescovo Michele Di Tolve, rettore del Pontificio Seminario Romano Maggiore, ha citato un testo di don Primo Mazzolari, che terminava significativamente con il verso "Si cerca per la Chiesa un uomo", a indicare che a vivere la vita consacrata sono esseri umani. Il testo ha, secondo il vescovo, un chiaro riferimento all'antropologia cristiana ed è capace di "aiutare ciascuno a guardarsi con lo sguardo generativo che avviene nella Chiesa". Monsignor Di Tolve raccomanda di "guardare all'umanità di ciascuno con quella dignità che ha fin da quando è stata desiderata, pensata, voluta, cercata e poi offerta alla vita". Nella "biografia della persona c'è già la chiave di volta di quello che può essere vivere la pienezza della propria esistenza umana dentro il dono della vita consacrata, dentro la Chiesa". E ha concluso con l'augurio che ognuno possa vivere in pienezza quello per cui siamo stati creati: "Amare alla maniera di Gesù".
L'importanza dell'amicizia
L’incontro, moderato dal giornalista dei media vaticani, Alessandro De Carolis, ha anche visto la testimonianza di suor Alice Callegari delle Figlie della Chiesa, che ha raccontato con vivezza la sua esperienza personale, mettendo in rilievo quanto, nel suo percorso verso una vocazione felice, segnato da momenti gioiosi e momenti difficili, sia stato centrale il fecondo sentimento dell'amicizia: "Avere amicizie in un cammino vocazionale è bello, è sano, è necessario ed è un dono". Un libro che, secondo la suora, "più che letto va pregato", perché "serve a far ricongiungere la vocazione con la realtà meravigliosa della comune esperienza umana", che non è fatta di "uomini e donne perfetti e imbattibili".
Suor Sandra al fianco dei rifugiati
Germania, l’impegno di suor Sandra al fianco dei rifugiati per rafforzare la loro dignità
Suor Sandra Friedrich SJE e Christine Seuss
Mentre la paura dell'alienazione cresceva in molti luoghi, le Suore Ancelle di Gesù nell'Eucaristia hanno deciso di impiegare il loro carisma tra i rifugiati, costretti ad affrontare e superare molti ostacoli: un incerto futuro, la paura, il rifiuto, le richieste eccessive, il peso dei divieti di lavoro, un’istruzione scadente, la separazione, i traumi, la lingua, le incomprensioni culturali, l’apparente arbitrarietà.
Ogni punto, da solo, sarebbe sufficiente a far vacillare una sana fiducia in sé stessi.
Alcuni di loro sprofondano nella disperazione, soprattutto quando si vedono negato il diritto a rimanere e quando diventa imminente la decisione della loro deportazione in un Paese che per loro è associato alla morte.
Queste persone si rivolgono a suor Sandra. “Ci sono numerosi luoghi dove porre domande semplici. Ma se è davvero difficile, allora mando le persone da te!”, le ha detto una volta una mamma la cui data di deportazione era stata fissata e che alla fine è riuscita a rimanere. “Quando nessuno può aiutarti, hai bisogno di Allah. E Lui è con te!”, ha detto un rifugiato musulmano che aveva molta paura per la sua famiglia.
Tutti sperano in una via d'uscita dai vicoli ciechi. La strada sperata non sempre esiste. Ma anche se la situazione non può essere cambiata, coloro che chiedono consiglio lasciano la stanza rincuorati e pieni di gratitudine. Sanno che la loro situazione è stata ascoltata e che ora è nelle mani di Dio.
Suor Sandra è una “pellegrina della speranza”. In queste situazioni, cerca di percorrere in una certa misura il sentiero della paura, di rafforzare e illuminare coloro che le chiedono consiglio, di cambiare la loro prospettiva e di aiutarli a diventare capaci di agire attraverso una comprensione più profonda della loro situazione. Ciò richiede apertura verso altre culture e modi di pensare diversi, una solida conoscenza giuridica e una buona comprensione delle responsabilità ufficiali. Poi, con molta sensibilità, è possibile mediare tra il mondo dei rifugiati, la realtà generale tedesca e i requisiti burocratici. Lo Spirito Santo a volte è il miglior traduttore!
Si tratta di un'intesa internazionale modellata sull'esempio del Beato monsignor Georg Matulaitis, il fondatore delle Suore Ancelle di Gesù nell'Eucaristia. Le sue iniziative di aiuto nell'Europa orientale devastata dalla guerra all'inizio del XX secolo erano sempre destinate a tutti i bisognosi, indipendentemente dalla loro origine. Ha sempre avuto a cuore l'unità dei popoli nella loro diversità e ha valorizzato tutte le lingue e le tradizioni della sua diocesi. In questo modo, ha contribuito notevolmente all'avvio di percorsi di pace e di riconciliazione.
Con il suo contributo in aiuto ai rifugiati, suor Sandra spera di togliere forza al terreno di coltura della violenza e dell'odio, poiché chi incontra la comprensione non cade nell'odio; chi sperimenta il bene è pronto a fare il bene; chi vede il futuro può vivere. Le vie del perdono e della riconciliazione sono importanti, e anche questo aspetto viene presentato più volte negli incontri di consulenza.
C'è un grande desiderio di avere Dio vicino. In Germania, spesso sembra essere lontano, come ha detto un rifugiato, “perché i tedeschi non ne parlano mai”. Per questo è ancora più importante che Dio diventi tangibile in Gesù Cristo, anche nelle persone che lo ricevono quotidianamente nell'Eucaristia. E così gli incontri di consulenza con suor Sandra si concludono sempre con la domanda sull'origine della speranza appena ricevuta.
Alla vista delle raffigurazioni delle sette opere di misericordia dipinte nell’ufficio, un devoto musulmano, preoccupato per la sua sicurezza, ha confessato: “Questa è la jihad: la guerra santa che Dio desidera. Dare da bere agli assetati, visitare i malati, seppellire i morti...” Suor Sandra non aveva mai guardato queste immagini da questa prospettiva. Prima dell’incontro di consulenza, era un po' tesa su cosa aspettarsi, nel caso lo Stato avesse avuto riserve su questa persona molto grata e affidabile. In seguito, è stata molto contenta del dono della fiducia e della capacità di avvicinarsi e ascoltare l'altro senza paura, invece di costruire muri. È così che la pace entra nel mondo.
Questo impegno delle Suore ancelle di Gesù nell'Eucaristia è un contributo alla missione della Chiesa di andare ai margini della società e diffondervi la luce della fede.
Il centro ha sede presso l'Associazione Caritas della città e del distretto di Hof, finanziato dal ministero degli Interni della Baviera e dai fondi della Caritas stessa. A causa delle misure di austerità del governo, i centri di consulenza di questo tipo sono a rischio in tutti i settori del sistema di assistenza sociale tedesco. Ciò apre la porta a un eccessivo numero di persone in situazioni di emergenza e al conseguente disagio sociale.
Il futuro è nelle mani di Dio e noi possiamo partecipare alla sua opera. Come Suore Ancelle di Gesù nell'Eucaristia, la sua mano ci conduce ovunque sia presente il suo sacrificio e fa sì che la frattura trovi una nuova unità. Questa è l'Eucaristia vivente, che inizia nella celebrazione liturgica dell'Eucaristia e permea tutta la nostra vita, indipendentemente dal luogo in cui lavoriamo.
venerdì 11 aprile 2025
Vocazione
Elisa, 25 anni, entra in convento: "Un richiamo all'amore di Dio"
Il Lunedì dell'Angelo, la giovane di San Fortunato della Collina, inizia il cammino del postulandato nel monastero delle Clarisse di Sant’Erminio a Monteluce. Il racconto della sua vocazione
(https://www.lanazione.it/umbria/diventa-suora-4670e9f2)
Perugia, 10 aprile 2025 - Come può una ragazza carina, con il fidanzato, una famiglia unita e un percorso universitario di tutto rispetto decidere di chiudersi in convento e abbracciare completamente la spiritualità, tanto da decidere di prendere i voti delle Clarisse?
Succede a Elisa Curti, perugina di 25 anni: il 21 aprile, Lunedì dell’Angelo, la giovane della parrocchia di San Fortunato della Collina, un paesino a due passi da Perugia, inizia il cammino del postulandato nel monastero delle Clarisse di Sant’Erminio. "Una famiglia amorevole, la laurea magistrale in Lettere classiche - riporta il sito della Diocesi - un cammino di fede che la porta a chiedere di abbracciare la vita religiosa".
venerdì 4 aprile 2025
Storie missionarie
Benin, l'importanza di raccontare storie missionarie
Nata e cresciuta in Croazia, suor Ivančica Fulir sognava fin da piccola di diventare missionaria. "Quando avevo solo sette anni, ho espresso il mio desiderio: che un giorno sarei andata in Africa e avrei aiutato i bambini di lì. Ma ero una bambina malaticcia, e mia madre mi disse che non sarei durata due giorni in Africa", ricorda. Nonostante le obiezioni della sua famiglia, una suora la rassicurò che Dio protegge coloro che manda, dicendo che non le sarebbe successo nulla di male. Lo stesso giorno, suor Ivančica decise che, con l'aiuto di Dio, avrebbe dedicato la sua vita alle missioni.
Suor Ivančica, laureata in economia e impiegata come project manager, si prodiga a raccogliere fondi per la costruzione di un orfanotrofio in Benin. È quell'occasione che la porta a fare volontariato per nove mesi in Benin, assieme alle Suore della Madonna della Medaglia Miracolosa. Un'esperienza che le cambia la vita. Al ritorno in Croazia, arriva la scelta di entrare in quella stessa Congregazione, con il cuore rimasto in Africa. Dopo ripetute richieste, nel 2020, ottiene dalle sue superiori il permesso di tornare in Benin.
Servire 3.800 bambini in Benin
Attualmente, a Porto Novo, suor Ivančica lavora a un programma che garantisce finanziamenti, procura e distribuisce cibo e supervisiona la preparazione e la distribuzione di pasti caldi a 3.800 bambini in cinque scuole elementari. Ha anche messo in contatto i benefattori della sua nativa Croazia con le suore del Paese per aiutare a costruire una terza clinica medica nel villaggio di Banigbé-Gare. Un altro dei suoi apostolati include l'assistenza, nel villaggio di Affame, un orfanotrofio per ragazze gestito da suore religiose. "Nelle missioni, non c'è mai carenza di lavoro - spiega - ma quando i nostri cuori rimangono aperti ai bambini e alle persone che ci circondano, Dio ci dà una forza incredibile per realizzare ciò che deve essere fatto".
I missionari devono raccontare le loro storie
Suor Ivančica, già durante il periodo di volontariato in Benin, aveva capito l'importanza per i missionari della comunicazione. "Sono rimasta scioccata da quanto poco la gente in Croazia sapesse dei propri missionari. Tante buone azioni rimangono nascoste e se le persone ne venissero a conoscenza, sarebbero ispirate a fare di più. Come disse una volta un missionario, ciò che non viene detto rimarrà sconosciuto". La religiosa crede profondamente che i missionari debbano condividere ciò che sperimentano e sentono nel loro cuore. "Queste storie incoraggiano le persone a diventare le nostre mani tese perché non possiamo fare da soli. Un vecchio proverbio africano dice che 'se vuoi andare veloce, vai da solo. Se vuoi andare lontano, vai insieme' ". Tutto questo ha portato suor Ivančica a scrivere sulla vita missionaria, prima per una rivista cattolica e poi condividendo la sua vita quotidiana sui social media. "Quando sono andata in Ucraina come missionaria - aggiunge - ho visto quanti volontari sono stati ispirati a venire ad aiutare semplicemente perché hanno letto le storie".
I social media, un potente strumento per i missionari
Secondo suor Ivančica, le storie condivise dai missionari offrono un contrappeso tanto necessario alle notizie prevalentemente negative dei media. "La Buona Novella è l'antidoto alla tristezza, alla disperazione e alla negatività. Cerco di condividere la nostra vita quotidiana da una prospettiva positiva, rivelando la presenza di Dio nei nostri incontri ed esperienze". Sebbene le storie di vita missionaria spesso evidenzino la sofferenza, adotta un approccio diverso. "In ogni bambino, in ogni malato, Cristo è presente, spesso è un Cristo sofferente, ma l'attenzione non deve essere sulla sofferenza stessa, ma sul cammino con Gesù fuori dalle difficoltà e dentro la gioia della Risurrezione".
I social medial permettono anche a migliaia di persone di rimanere in contatto con i missionari e pregare per loro e per le persone che servono. "Sapere che così tanti ci stanno sostenendo con la preghiera fa un'enorme differenza. So di non essere sola".
Le sfide della condivisione sui social media
La comunicazione non è un compito facile per i missionari, prosegue suor Ivančica. "Ci vuole molto tempo e a volte le persone non capiscono, ma i frutti ne valgono la pena." Si parte da sfide tecniche, come frequenti guasti alle apparecchiature a causa di condizioni climatiche, interruzioni di corrente e accesso a Internet inaffidabile. Ma sfide ancora più grandi nascono dalle differenze culturali e tradizionali tra l'Africa e l'Occidente. "A volte, quando condivido scorci della vita quotidiana in Africa, trasmetto qualcosa che il pubblico occidentale non capisce e potrebbe giudicare duramente - aggiunge suor Ivančica. - i modi di lavorare, di essere genitori e di festeggiare qui sono diversi. Se queste differenze non vengono spiegate con attenzione, possono essere fraintese e persino diventare controproducenti".
Nonostante queste sfide, suor Ivančica continua a condividere storie sulla "sua Africa", portando alla luce in tutto il mondo la realtà quotidiana dei missionari. "Se attraverso le storie che condivido sulla vita missionaria viene toccato un solo cuore - conclude - è un dono di Dio".