Il Papa: i consacrati siano esempio d’amore in un mondo di relazioni superficiali
Francesco presiede i Primi Vespri nella Festa della Presentazione del Signore, coincidente con la Giornata Mondiale della Vita Consacrata, nella Basilica di San Pietro.
Esalta il voto di povertà come espressione di sobrietà e generosità e mette in guardia dalle forme distorte di affettività che possono essere causa di ambigue "doppie vite". Sottolinea poi come la "luce" dell'obbedienza stimoli all'ascolto, cogliendo il "tesoro" racchiuso nelle parole del proprio interlocutore.
OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
«Ecco io vengo […] per fare, o Dio, la tua volontà» (Eb 10,7). Con queste parole l’autore della
Lettera agli Ebrei manifesta la piena adesione di Gesù al progetto del Padre. Oggi le leggiamo
nella festa della Presentazione del Signore, Giornata mondiale della Vita Consacrata, durante il
Giubileo della speranza, in un contesto liturgico caratterizzato dal simbolo della luce. E tutti voi,
sorelle e fratelli che avete scelto la via dei consigli evangelici, vi siete consacrati, come «Sposa
davanti allo Sposo […] avvolta dalla sua luce» (S. Giovanni Paolo II, Esort. Ap. Vita consecrata,
15); vi siete consacrati a quello stesso disegno luminoso del Padre che risale alle origini del
mondo. Esso avrà il suo pieno compimento alla fine dei tempi, ma già ora si rende visibile
attraverso «le meraviglie che Dio opera nella fragile umanità delle persone chiamate» (ivi, 20).
Riflettiamo allora su come, per mezzo dei voti di povertà, castità e obbedienza, che avete
professato, anche voi potete essere portatori di luce per le donne e gli uomini del nostro tempo.
Primo aspetto: la luce della povertà. Essa ha le sue radici nella vita stessa di Dio, eterno e totale
dono reciproco del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (ivi, 21). Esercitando così la povertà, la
persona consacrata, con un uso libero e generoso di tutte le cose, si fa per esse portatrice di
benedizione: manifesta la loro bontà nell’ordine dell’amore, respinge tutto ciò che può offuscarne
la bellezza – egoismo, cupidigia, dipendenza, l’uso violento e a scopi di morte – e abbraccia
invece tutto ciò che la può esaltare: sobrietà, la generosità, la condivisione, la solidarietà. E Paolo
lo dice: «Tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio» (1Cor 3,22-23). Questo è la
povertà.
Il secondo elemento è la luce della castità. Anche questa ha origine nella Trinità e manifesta un
«riflesso dell’amore infinito che lega le tre Persone divine» (Vita consecrata, 21). La sua
professione, nella rinuncia all’amore coniugale e nella via della continenza, ribadisce il primato
assoluto, per l’essere umano, dell’amore di Dio, accolto con cuore indiviso e sponsale (cfr 1Cor
7,32-36), e lo indica come fonte e modello di ogni altro amore. Lo sappiamo, noi stiamo vivendo in
un mondo spesso segnato da forme distorte di affettività, in cui il principio del “ciò che piace a me”
– quel principio – spinge a cercare nell’altro più la soddisfazione dei propri bisogni che la gioia di
un incontro fecondo. È vero. Ciò genera, nelle relazioni, atteggiamenti di superficialità e
precarietà, egocentrismo, edonismo, immaturità e irresponsabilità morale, per cui si sostituiscono
lo sposo e la sposa di tutta la vita con il partner del momento, i figli accolti come dono con quelli
pretesi come “diritto” o eliminati come “disturbo”.
Sorelle, fratelli, in un contesto di questo tipo, a fronte del «crescente bisogno di limpidezza
interiore nei rapporti umani» (Vita consecrata, 88) e di umanizzazione dei legami fra i singoli e le
comunità, la castità consacrata ci mostra – mostra all’uomo e alla donna del ventunesimo secolo –
una via di guarigione dal male dell’isolamento, nell’esercizio di un modo di amare libero e
liberante, che accoglie e rispetta tutti e non costringe né respinge nessuno. Che medicina per
l’anima è incontrare religiose e religiosi capaci di una relazionalità matura e gioiosa di questo tipo!
Sono un riflesso dell’amore divino (cfr Lc 2,30-32). A tal fine, però, è importante, nelle nostre
comunità, prendersi cura della crescita spirituale e affettiva delle persone, già dalla formazione
iniziale, anche in quella permanente, perché la castità mostri davvero la bellezza dell’amore che si
dona, e non prendano piede fenomeni deleteri come l’inacidimento del cuore o l’ambiguità delle
scelte, fonte di tristezza, insoddisfazione e causa, a volte, in soggetti più fragili, dello svilupparsi di
vere e proprie “doppie vite”. La lotta contro la tentazione della doppia vita è quotidiana. È
quotidiana.
E veniamo al terzo aspetto: la luce dell’obbedienza. Anche di questa ci parla il testo che abbiamo
ascoltato, presentandoci, nel rapporto tra Gesù e il Padre, la «bellezza liberante di una
dipendenza filiale e non servile, ricca di senso di responsabilità e animata dalla reciproca fiducia»
(Vita consecrata, 21). È proprio la luce della Parola che si fa dono e risposta d’amore, segno per
la nostra società, in cui si tende a parlare tanto ma ascoltare poco: in famiglia, al lavoro e
specialmente sui social, dove ci si possono scambiare fiumi di parole e di immagini senza mai
incontrarsi davvero, perché non ci si mette veramente in gioco l’uno per l’altro. E questa è una
cosa interessante. Tante volte, nel dialogo quotidiano, prima che uno finisca di parlare, già esce la
risposta. Non si ascolta. Ascoltarci prima di rispondere. Accogliere la parola dell’altro come un
messaggio, come un tesoro, anche come un aiuto per me. L’obbedienza consacrata è un antidoto
a tale individualismo solitario, promuovendo in alternativa un modello di relazione improntato
all’ascolto fattivo, in cui al “dire” e al “sentire” segue la concretezza dell’“agire”, e questo anche a
costo di rinunciare ai miei gusti, ai miei programmi e alle mie preferenze. Solo così, infatti, la
persona può sperimentare fino in fondo la gioia del dono, sconfiggendo la solitudine e scoprendo il
senso della propria esistenza nel grande progetto di Dio.
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Vorrei concludere richiamando un altro punto: il “ritorno alle origini”, di cui oggi si parla tanto nella
vita consacrata. Ma non un ritorno all’origine come tornare a un museo, no. Ritorno proprio
all’origine della nostra vita. In proposito, la Parola di Dio che abbiamo ascoltato ci ricorda che il
primo e più importante “ritorno alle origini” di ogni consacrazione è, per tutti noi, quello a Cristo e
al suo “sì” al Padre. Ci ricorda che il rinnovamento, prima che con le riunioni e le “tavole rotonde” –
che si devono fare, sono utili – si fa davanti al Tabernacolo, in adorazione. Sorelle, fratelli, noi
abbiamo perso un po’ il senso dell’adorazione. Siamo troppo pratici, vogliamo fare le cose, ma …
Adorare. Adorare. La capacità di adorazione nel silenzio. E così si riscoprono le proprie Fondatrici
e i propri Fondatori anzitutto come donne e uomini di fede, e ripetendo con loro, nella preghiera e
nell’offerta: «Ecco io vengo […] per fare, o Dio, la tua volontà» (Eb 10,7).
Grazie tante a voi per la vostra testimonianza. È un lievito nella Chiesa. Grazie.
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