martedì 4 febbraio 2025

Venezuela: suore in prima linea

 

Venezuela, le suore in prima linea per mantenere salda la speranza



Lety Mariela Pérez López, Ancella di Cristo Re, illustra il lavoro di accompagnamento per sostenere un popolo in difficoltà. Membro del Consiglio direttivo della Conferenza venezuelana dei religiosi e delle religiose (Conver), porta avanti un apostolato non privo di fatiche accanto ai poveri, "difendendo la vita attraverso l’educazione, l’assistenza sanitaria, le case di accoglienza per bambini, giovani e anziani"

di Lety Mariela Pérez López*

«Voi siete la speranza della Chiesa e del mondo, voi siete la mia speranza», queste furono le parole pronunciate da san Giovanni Paolo II, nel 1978, all'inizio del suo pontificato, e furono le parole che 39 anni fa, nel 1985 , precedettero la prima visita di un Papa nel mio Paese, il Venezuela, che toccarono anche il mio giovane cuore di allora, e accesero la fiamma che è rimasta accesa in questi anni alla sequela di Gesù Cristo come religiosa nell'Istituto Ancelle di Cristo Re.

«Era il pomeriggio del 27 gennaio di quell'anno, quando il nostro amato Giovanni Paolo II si trovò a Maracaibo per celebrare l'Eucaristia all'aeroporto Grano de Oro e fu lì che con la sua voce ferma ma amorevole di Pastore, incoraggiò i giovani venezuelani a mantenere la fede e la speranza per superare la «tentazione della fuga e dell'evasione», che senza dubbio assaliva anche me in quel periodo giovanile, ma oggi dico che Dio mi stava aspettando per rendermi felice. Era quello che tanto desideravo e me lo ha fatto sentire e capire con l'incontro con Papa Wojtyła. Da lì in poi, tutta una storia di «amore, fede e speranza» che ha mosso il mio cuore di donna consacrata che voleva costruire un mondo diverso, pieno del Regno di Dio, in comunione con le altre realtà ecclesiali senza perdere la gioia, l'audacia e la dedizione piena di speranza come dice Papa Francesco alla vita consacrata oggi.

La virtù della speranza mi ha permesso di vivere la quotidianità del mio Paese, per quanto complesso e avversa possa essere, con una prospettiva propositiva che mi incoraggia a superare la paura e lo scoraggiamento ea cercare di vivere in una dinamica di impegno e di lavoro trasformante basato sul mio carisma e sulla mia spiritualità di Ancella di Cristo Re, che cerca di aiutare gli altri a incontrare se stessi, Dio, i fratelli e le sorelle, e insieme a rendere possibile un mondo più umano, più fraterno, giusto e dignitoso per tutti attraverso l'apostolato dell'insegnamento, la proposta degli Esercizi Spirituali secondo il metodo di sant'Ignazio e il lavoro sociale e di evangelizzazione.

Fare parte in questo momento del consiglio direttivo della Conferenza venezuelana dei religiosi e delle religiose (Conver) che vuole essere strumento di relazione e cooperazione tra i religiosi, le religiose e le istituzioni ecclesiastiche, civili, ufficiali e private, anche affinché la vita religiosa in Il Venezuela possa rispondere alla sfida dell'evangelizzazione e le comunità di religiosi e religiose raccolgano la sfida di operare per raggiungere la giustizia sociale in Venezuela, mi ha permesso di vedere, attraverso il lavoro di accompagnamento, che la nostra vita religiosa nel Paese è fragile per numero, età, posizione sociale, ma con un immenso desiderio di continuare a sostenere la nostra gente in mezzo a una realtà non facile da risolvere e gestire.
Abbiamo una storia segnata dallo slancio, dalla ricerca di risposte ai problemi della popolazione, dalla chiamata alla missione, alle nuove frontiere, al dialogo con le organizzazioni sociali, all'apostolato intercongregazionale, al risveglio della fede nella comunità cristiana, all'accompagnamento delle comunità cristiane di base, alla riflessione della prassi cristiana e al dialogo, nonostante a volte le nostre forze vacillino e solo Dio conosce i nostri sforzi. tuttavia, la vita consacrata in Venezuela continua a seminario speranza ed è ancora impegnata a costruire la pace, cercando di essere vicina alla vita delle persone povere, comprendendole, rafforzando le loro organizzazioni, rendendo presente Gesù, difendendo la vita attraverso l'educazione, l'educazione. 'educazione. 'assistenza sanitaria, le case di accoglienza per bambini, giovani e anziani.

Viviamo a partire dai diversi carismi, sforzandoci di essere fedeli, cercando di vivere con semplicità e austerità nelle nostre comunità, lasciando che la gioia risplenda nonostante le avversità a cui siamo tutti sottoposti dalla situazione del Paese, perché rimaniamo saldi nel voler essere uomini e donne di Dio, che rendono presente la Buona Novella di Gesù. Siamo la vita consacrata venezuelana, con i suoi pregi e difetti, al servizio dell'evangelizzazione nelle sue varie dimensioni, con impegno, umanità e professionalità, testimoniando l'amore di Dio attraverso il servizio ai più bisognosi, perché siamo riusciti a istituzionalizzare linee di lavoro comune nel campo dell'educazione (Avec - Fe y Alegría), nella salute (Avessoc), della formazione e del pensiero teologico (Cer-Iter, e altre istanze di formazione; Comina, Rasi, Repam), sempre in comunione con la Cev e la Clar, tutte finalizzate al sostegno della vita religiosa. Ringrazio Dio perché la chiamata a mantenere la fede e la speranza per superare la «tentazione della fuga e dell'evasione» di un tempo continua a dare senso al mio sì di oggi, sull'esempio di Maria di Nazareth.

*Ancella di Cristo Re

domenica 2 febbraio 2025

2 Febbraio 2025: XXIX Giornata Mondiale della Vita Consacrata

 

Vita consacrata, la clausura: la forza dell’incontro e dell’attesa



Come ogni 2 febbraio, si celebra oggi la XXIX Giornata mondiale, occasione in cui la Chiesa tutta si stringe attorno ai consacrati e alle consacrate che hanno donato la loro vita a Dio. Madre Sebastiano, abbadessa delle Clarisse Cappuccine di Città di Castello: “Siamo chiamati a prenderci cura gli uni degli altri, ad essere responsabili e capaci di portare l’altro in braccio, nel suo bisogno e nella sua fragilità, ma anche ad essere così umili e disponibili"
Francesco Marroncheddu – Città del Vaticano
Se tanti sono i carismi e le specificità con le quali la vita religiosa viene declinata, quella della contemplazione rimane, nella Chiesa, una forma speciale e spesso poco conosciuta di vita consacrata. I monasteri di clausura, sparsi nel mondo, dalle grandi città ai piccoli borghi, costituiscono così dei punti luminosi nella vita delle Chiese particolari nelle quali sono inseriti, delle oasi di ristoro spirituale e contemplazione e diventano profezia per quanti, sempre più numerosi, si accostano alle comunità contemplative, condividendo con esse parti della preghiera monastica, ea volte addirittura dei periodi forti di ritiro.
                                 XXIX Giornata mondiale della vita consacrata

La forza della preghiera

Nella festa della presentazione di Gesù al Tempio, il 2 febbraio, scelta da Giovanni Paolo II nel 1997 per celebrare la Giornata mondiale della vita consacrata, oltre che a tutti i religiosi e le religiose che vivono l'offerta della loro vita nella specificità “attiva”. ” dei rispettivi carismi (dalle parrocchie agli ospedali, dalle scuole alle mense), non si può non pensare con riconoscenza alle contemplative, che con la forza della loro preghiera ininterrotta supportano la vita della Chiesa e ne presentano la lode e le attese al Padre. In realtà, le claustrali hanno già una loro giornata dedicata, quella del 21 novembre, memoria della Presentazione di Maria al Tempio, ma il 2 febbraio ci ricorda come la contemplazione sia una delle tante forme possibili di consacrazione: in una società come quella attuale, dove conta chi più “fa” e si mette in mostra, l'apparente “non fare”, il rinchiudersi nel silenzio di un chiostro, non è meno prezioso e necessario. I monasteri stanno là, a parlarci di un “già e non ancora” escatologico che ci ricorda che non siamo nati solo per guardarci attorno ma anche per guardare verso il sole. “Gesù viene presentato al Tempio e questo è segno profetico della sua totale consacrazione al Padre. Allo stesso modo, la vita di ogni religioso e religiosa, e dunque di noi claustrali, vuole essere segno di questa consacrazione nel tempio della Chiesa”. A parlare è madre Chiara Veronica Sebastiano, abbadessa delle Clarisse Cappuccine di Città di Castello (Perugia), luogo dove visse la sua esperienza monastica la mistica Santa Veronica Giuliani (1660-1727). “Dalla liturgia – spiega madre Chiara Veronica – possiamo trarre due parole che illuminano e danno il senso di questa giornata dedicata a tutte le consacrate e ai consacrati: attesa ed incontro. L'evangelista Luca ci racconta come Giuseppe e Maria vanno al Tempio per offrire Gesù al Signore e riscattarlo, secondo la legge di Mosè, mediante l'offerta richiesta ai poveri: il sacrificio di due tortore o due colombe. Lì incontrano Simeone e Anna. Questi due anziani sono figure simboliche dell'attesa: ricordano alla vita consacrata che la sua profezia risiede proprio nell'attendere il Signore che viene, mantenendo viva e sostenendo l'attesa dell'intera comunità cristiana, che a volte può essere distratta o affaticata da tanti impegni, immersi nella contingenza del tempo, da non riuscire più a vivere il respiro di un'attesa. Del resto, Anna attende e nello stesso tempo anima e sostiene l'attesa di altri”.

                                 XXIX Giornata mondiale della vita consacrata

La vita contemplativa, segno e profezia

Nella tradizione orientale, questa festa viene definita come la festa dell'incontro; ed è singolare come tante persone incontrano Dio proprio grazie all'incontro con una comunità contemplativa, che dischiude le sue grate alla testimonianza, rendendosi disponibile alla condivisione della preghiera. «In Simeone e Anna, Dio nel suo Figlio incontra tutti coloro che attendevano il suo avvento – sottolinea ancora la religiosa – nell'Antico Testamento è Dio che tiene in braccio i suoi figli, che li incontra portandoli tra le sue braccia; oggi le parti si rovesciano: è Dio che in Gesù viene portato in braccio da Maria e da Giuseppe e introdotto nel tempio”. Un rovesciamento che ci svela perciò un volto inedito di Dio, e cambia la nostra relazione con lui e tra di noi. “La vita contemplativa si fa segno e profezia di questo incontro che imprime uno stile preciso alla sequela: siamo chiamati a prenderci cura gli uni degli altri, ad essere responsabili e capaci di portare l'altro in braccio, nel suo bisogno e nella sua fragilità , ma anche ad essere così umili e disponibili da lasciarci portare in braccio da qualcun altro”. La contemplazione diventa poi occasione di condivisione grazie alla vita fraterna che ritma le giornate dei monasteri: “Non possiamo servire il regno di Dio da soli – conclude madre Veronica – ma solo attendendo insieme, nell'incontro e nella cura, la promessa del Signore: «Sì, vengo presto!»”.

sabato 1 febbraio 2025

2 Febbraio 2025 - Festa della Vita Consacrata

PRIMI VESPRI DELLA FESTA DELLA PRESENTAZIONE DEL SIGNORE

 


Il Papa: i consacrati siano esempio d’amore in un mondo di relazioni superficiali


Francesco presiede i Primi Vespri nella Festa della Presentazione del Signore, coincidente con la Giornata Mondiale della Vita Consacrata, nella Basilica di San Pietro.
Esalta il voto di povertà come espressione di sobrietà e generosità e mette in guardia dalle forme distorte di affettività che possono essere causa di ambigue "doppie vite". Sottolinea poi come la "luce" dell'obbedienza stimoli all'ascolto, cogliendo il "tesoro" racchiuso nelle parole del proprio interlocutore.

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
«Ecco io vengo […] per fare, o Dio, la tua volontà» (Eb 10,7). Con queste parole l’autore della Lettera agli Ebrei manifesta la piena adesione di Gesù al progetto del Padre. Oggi le leggiamo nella festa della Presentazione del Signore, Giornata mondiale della Vita Consacrata, durante il Giubileo della speranza, in un contesto liturgico caratterizzato dal simbolo della luce. E tutti voi, sorelle e fratelli che avete scelto la via dei consigli evangelici, vi siete consacrati, come «Sposa davanti allo Sposo […] avvolta dalla sua luce» (S. Giovanni Paolo II, Esort. Ap. Vita consecrata, 15); vi siete consacrati a quello stesso disegno luminoso del Padre che risale alle origini del mondo. Esso avrà il suo pieno compimento alla fine dei tempi, ma già ora si rende visibile attraverso «le meraviglie che Dio opera nella fragile umanità delle persone chiamate» (ivi, 20). Riflettiamo allora su come, per mezzo dei voti di povertà, castità e obbedienza, che avete professato, anche voi potete essere portatori di luce per le donne e gli uomini del nostro tempo. Primo aspetto: la luce della povertà. Essa ha le sue radici nella vita stessa di Dio, eterno e totale dono reciproco del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (ivi, 21). Esercitando così la povertà, la persona consacrata, con un uso libero e generoso di tutte le cose, si fa per esse portatrice di benedizione: manifesta la loro bontà nell’ordine dell’amore, respinge tutto ciò che può offuscarne la bellezza – egoismo, cupidigia, dipendenza, l’uso violento e a scopi di morte – e abbraccia invece tutto ciò che la può esaltare: sobrietà, la generosità, la condivisione, la solidarietà. E Paolo lo dice: «Tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio» (1Cor 3,22-23). Questo è la povertà. Il secondo elemento è la luce della castità. Anche questa ha origine nella Trinità e manifesta un «riflesso dell’amore infinito che lega le tre Persone divine» (Vita consecrata, 21). La sua professione, nella rinuncia all’amore coniugale e nella via della continenza, ribadisce il primato assoluto, per l’essere umano, dell’amore di Dio, accolto con cuore indiviso e sponsale (cfr 1Cor 7,32-36), e lo indica come fonte e modello di ogni altro amore. Lo sappiamo, noi stiamo vivendo in un mondo spesso segnato da forme distorte di affettività, in cui il principio del “ciò che piace a me” – quel principio – spinge a cercare nell’altro più la soddisfazione dei propri bisogni che la gioia di un incontro fecondo. È vero. Ciò genera, nelle relazioni, atteggiamenti di superficialità e precarietà, egocentrismo, edonismo, immaturità e irresponsabilità morale, per cui si sostituiscono lo sposo e la sposa di tutta la vita con il partner del momento, i figli accolti come dono con quelli pretesi come “diritto” o eliminati come “disturbo”. Sorelle, fratelli, in un contesto di questo tipo, a fronte del «crescente bisogno di limpidezza interiore nei rapporti umani» (Vita consecrata, 88) e di umanizzazione dei legami fra i singoli e le comunità, la castità consacrata ci mostra – mostra all’uomo e alla donna del ventunesimo secolo – una via di guarigione dal male dell’isolamento, nell’esercizio di un modo di amare libero e liberante, che accoglie e rispetta tutti e non costringe né respinge nessuno. Che medicina per l’anima è incontrare religiose e religiosi capaci di una relazionalità matura e gioiosa di questo tipo! Sono un riflesso dell’amore divino (cfr Lc 2,30-32). A tal fine, però, è importante, nelle nostre comunità, prendersi cura della crescita spirituale e affettiva delle persone, già dalla formazione iniziale, anche in quella permanente, perché la castità mostri davvero la bellezza dell’amore che si dona, e non prendano piede fenomeni deleteri come l’inacidimento del cuore o l’ambiguità delle scelte, fonte di tristezza, insoddisfazione e causa, a volte, in soggetti più fragili, dello svilupparsi di vere e proprie “doppie vite”. La lotta contro la tentazione della doppia vita è quotidiana. È quotidiana. E veniamo al terzo aspetto: la luce dell’obbedienza. Anche di questa ci parla il testo che abbiamo ascoltato, presentandoci, nel rapporto tra Gesù e il Padre, la «bellezza liberante di una dipendenza filiale e non servile, ricca di senso di responsabilità e animata dalla reciproca fiducia» (Vita consecrata, 21). È proprio la luce della Parola che si fa dono e risposta d’amore, segno per la nostra società, in cui si tende a parlare tanto ma ascoltare poco: in famiglia, al lavoro e specialmente sui social, dove ci si possono scambiare fiumi di parole e di immagini senza mai incontrarsi davvero, perché non ci si mette veramente in gioco l’uno per l’altro. E questa è una cosa interessante. Tante volte, nel dialogo quotidiano, prima che uno finisca di parlare, già esce la risposta. Non si ascolta. Ascoltarci prima di rispondere. Accogliere la parola dell’altro come un messaggio, come un tesoro, anche come un aiuto per me. L’obbedienza consacrata è un antidoto a tale individualismo solitario, promuovendo in alternativa un modello di relazione improntato all’ascolto fattivo, in cui al “dire” e al “sentire” segue la concretezza dell’“agire”, e questo anche a costo di rinunciare ai miei gusti, ai miei programmi e alle mie preferenze. Solo così, infatti, la persona può sperimentare fino in fondo la gioia del dono, sconfiggendo la solitudine e scoprendo il senso della propria esistenza nel grande progetto di Dio. 2 Vorrei concludere richiamando un altro punto: il “ritorno alle origini”, di cui oggi si parla tanto nella vita consacrata. Ma non un ritorno all’origine come tornare a un museo, no. Ritorno proprio all’origine della nostra vita. In proposito, la Parola di Dio che abbiamo ascoltato ci ricorda che il primo e più importante “ritorno alle origini” di ogni consacrazione è, per tutti noi, quello a Cristo e al suo “sì” al Padre. Ci ricorda che il rinnovamento, prima che con le riunioni e le “tavole rotonde” – che si devono fare, sono utili – si fa davanti al Tabernacolo, in adorazione. Sorelle, fratelli, noi abbiamo perso un po’ il senso dell’adorazione. Siamo troppo pratici, vogliamo fare le cose, ma … Adorare. Adorare. La capacità di adorazione nel silenzio. E così si riscoprono le proprie Fondatrici e i propri Fondatori anzitutto come donne e uomini di fede, e ripetendo con loro, nella preghiera e nell’offerta: «Ecco io vengo […] per fare, o Dio, la tua volontà» (Eb 10,7). Grazie tante a voi per la vostra testimonianza. È un lievito nella Chiesa. Grazie.
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Vita Consacrata: laboratorio del "noi"

 

Suor Brambilla: la vita consacrata laboratorio del “noi”

Su L'Osservatore Romano una riflessione della prefetta del Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica sul contributo dei religiosi alla crescita della sinodalità nella Chiesa

di Simona Brambilla, mc *

Il Documento Finale del Sinodo sulla sinodalità afferma che: «La vita consacrata è chiamata a interpellare la Chiesa e la società con la propria voce profetica. Nella loro secolare esperienza, le famiglie religiose hanno maturato sperimentate pratiche di vita sinodale e di discernimento comunitario, imparando ad armonizzare i doni individuali e la missione comune. Ordini e Congregazioni, Società di vita apostolica, Istituti secolari, come pure Associazioni, Movimenti e Nuove Comunità hanno uno speciale apporto da dare alla crescita della sinodalità nella Chiesa. Oggi molte comunità di vita consacrata sono un laboratorio di interculturalità che costituisce una profezia per la Chiesa e per il mondo» (DF, 65).

Papa Francesco ha più volte parlato della chiamata a passare dall’io al noi, del bisogno di «incontrarci in un noi che sia più forte della somma di piccole individualità» (Fratelli tutti, 78),  della «sfida di scoprire e trasmettere la “mistica” di vivere insieme» (Evangelii Gaudium, 87), dell’«esperienza liberante e responsabile di vivere come Chiesa la “mistica del noi”» (Veritatis gaudium circa le Università e le Facoltà ecclesiastiche, 4). Il processo sinodale ha ripreso, tra altre, l’immagine paolina dell’unico corpo (DF, 16, 21, 26, 27, 36, 57, 88) e «ci ha fatto provare il “gusto spirituale” (EG 268) di essere Popolo di Dio, riunito da ogni tribù, lingua, popolo e nazione, che vive in contesti e culture diverse. Esso non è mai la semplice somma dei Battezzati, ma il soggetto comunitario e storico della sinodalità e della missione» (DF,  17.).

«Tutto è in relazione», «tutto è collegato», «tutto è connesso»: questo è il ritornello che attraversa la Laudato si’ di Papa Francesco. L’immagine del corpo esprime in modo plastico e chiaro la connessione che esiste fra noi: noi creature, noi umani, noi cristiani, noi membra del Corpo di Cristo che è la Chiesa, noi appartenenti a un Istituto di Vita Consacrata, a una Società di Vita Apostolica, a una Famiglia spirituale animata da un carisma unico e originale. Proprio come in un corpo fisico, ogni parte, ogni organo, ogni cellula di un “corpo carismatico” ha influenza sul resto. Ciò che succede in una parte del corpo ha ripercussione sul tutto. E ciò che capita a tutto il corpo come tale, si ripercuote in qualche modo in ogni sua parte.

Nel “corpo carismatico” circola ciò che i membri immettono. Ogni nostro atto e parola, ogni nostro pensiero e sentimento è energia che percorre la fitta rete dei nostri rapporti, e arriva a interessare tutti, perché tutti siamo uniti in un solo corpo, irrorati dallo stesso sangue del carisma vivo. Nessuna parola, nessun gesto, nessun pensiero e sentimento sono neutri: ogni espressione vitale ha conseguenze, nel bene e nel male. Misteriosamente, in virtù del fatto che siamo tutti connessi — a livello profondissimo, di spirito, di carisma — ciò che sento, penso, dico, faccio, desidero, viene immesso nella circolazione del corpo e porta le sue conseguenze, benefiche o malefiche. Accompagnare un “corpo carismatico”, organismo vivente, a esprimere la sua generatività, la sua fecondità, il fine per cui è venuto al mondo, significa anzitutto accompagnarlo a connettersi e riconnettersi continuamente con ciò che lo anima, al carisma. E significa curare ciò che circola all’interno delle connessioni vitali.

Il carisma non è proprietà di un Istituto, di una Società, di una Famiglia carismatica. Esso è dono di Dio al mondo, è Spirito, è Vita. L’Istituto (o Società, o Famiglia) e ogni sorella e fratello che ne è membro, lo riceve come dono gratuito, forza vitale da lasciar scorrere in sé creativamente, liberamente, non certo da “mummificare” o imbalsamare come un pezzo da museo. Nelle parole di Papa Francesco: «Ogni carisma è creativo, non è una statua di museo, no, è creativo. Si tratta di rimanere fedeli alla fonte originaria sforzandosi di ripensarla ed esprimerla in dialogo con le nuove situazioni sociali e culturali. Ha radici ben fisse, ma l’albero cresce in dialogo con la realtà. Quest’opera di aggiornamento è tanto più fruttuosa quanto più viene realizzata armonizzando creatività, saggezza, sensibilità verso tutti e fedeltà alla Chiesa» (Al Movimento dei Focolari,  6 febbraio 2021).


L’energia del carisma attraversa ogni cellula del corpo: ogni sorella/fratello ne è portatore ed espressione. Non solo. Il “corpo carismatico”, quale organismo vivo, ha i propri “sensi”, e tra essi il “senso del carisma”, un “fiuto”, per dirla ancora con Papa Francesco, che gli permette di distinguere il profumo del carisma, di sentirne la melodia, di scorgerne la luce, di gustarne il sapore, di riconoscerne il tocco. E di vibrare a contatto con esso, di lasciarsene attrarre e di seguirlo. Come corpo, come organismo. Quanto è importante allora che la/il leader di una Famiglia carismatica, come buon pastore, cammini col gregge «a volte davanti, a volte in mezzo e a volte dietro: davanti, per guidare la comunità; in mezzo, per incoraggiarla e sostenerla; dietro, per tenerla unita perché nessuno rimanga troppo, troppo indietro, per tenerla unita, e anche per un’altra ragione: perché il popolo ha “fiuto”!» (Assisi, 4 ottobre 2013).

La vibrazione e il movimento di un organismo in risposta a ciò che il suo “fiuto” e tutti i suoi sensi percepiscono non è semplicemente la somma delle vibrazioni e dei movimenti di ogni sua parte; è ben di più. Un po’ come succede per una sinfonia suonata da un’orchestra: essa non è semplicemente la somma dei vari suoni degli strumenti; è molto di più. Parlando ai neo cardinali durante il Concistoro del 30 settembre 2023, il Santo Padre propose proprio questa immagine, legandola alla sinodalità: «il Collegio Cardinalizio è chiamato ad assomigliare a un’orchestra sinfonica, che rappresenta la sinfonicità e la sinodalità della Chiesa. Dico anche la “sinodalità”, non solo perché siamo alla vigilia della prima Assemblea del Sinodo che ha proprio questo tema, ma perché mi pare che la metafora dell’orchestra possa illuminare bene il carattere sinodale della Chiesa. Una sinfonia vive della sapiente composizione dei timbri dei diversi strumenti: ognuno dà il suo apporto, a volte da solo, a volte unito a qualcun altro, a volte con tutto l’insieme.

La diversità è necessaria, è indispensabile. Ma ogni suono deve concorrere al disegno comune. E per questo è fondamentale l’ascolto reciproco: ogni musicista deve ascoltare gli altri. Se uno ascoltasse solo sé stesso, per quanto sublime possa essere il suo suono, non gioverà alla sinfonia; e lo stesso avverrebbe se una sezione dell’orchestra non ascoltasse le altre, ma suonasse come se fosse da sola, come se fosse il tutto. E il direttore dell’orchestra è al servizio di questa specie di miracolo che ogni volta è l’esecuzione di una sinfonia. Egli deve ascoltare più di tutti gli altri, e nello stesso tempo il suo compito è aiutare ciascuno e tutta l’orchestra a sviluppare al massimo la fedeltà creativa, fedeltà all’opera che si sta eseguendo, ma creativa, capace di dare un’anima a quello spartito, di farlo risuonare nel qui e ora in maniera unica».

Un organismo vitale è necessariamente sempre in movimento, in adattamento e in rinnovamento. Quando il movimento, l’adattamento e il rinnovamento cessano, subentra la morte. Per dirla ancora con Papa Francesco: «chi è fermo finisce per corrompersi. Come l’acqua: quando l’acqua è ferma lì, vengono le zanzare, mettono le uova, e tutto si corrompe. Tutto» (Omelia, Cappella di Casa Santa Marta, 2 ottobre 2018).

La/il leader di una Famiglia di consacrati/e è chiamato a facilitare un continuo ritorno e re-immersione nel carisma, nell’energia vitale che anima il “corpo carismatico”, nella musica che lo sostiene, nelle origini vive e palpitanti da cui è possibile ripartire, essere rilanciati nell’oggi dalla fecondità inesauribile dell’ispirazione da cui si è nati. Allora, la musica può esprimersi oggi nell’orchestra, dando vita e anima allo spartito nel qui ed ora. Allora, sciolto da strutture, geometrie e geografie che forse lo appesantivano, il flusso vitale del carisma può liberarsi in una danza che muove, accende, vivifica l’intero corpo, la Chiesa, il mondo.

* Prefetta del Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica

Autorità e Chiesa sinodale - suor Simona Brambilla